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Una riflessione sulla scuola di una giovane alunna del Giannone

11/5/2016

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Il prof. Nicola Sguera ci segnala la riflessione di ​Maddalena Cavuoto, Classe II D del Liceo Classico "P. Giannone" di Benevento

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Una recente Circolare del MIUR del dicembre 2015, nell'ambito della Riforma (l'ennesima) per la Buona (?!) Scuola, conferisce ai Dirigenti Scolastici la facoltà di indicare ai docenti di dividere gli studenti di una classe per gruppi di livello diversi per consentire "potenziamento" ai più bravi e "recupero" a quelli con debiti formativi. Chiaramente, tra i pedagogisti ci sono reazioni diverse e di segno opposto. Si vuole "cambiare" perché si addebita (sbagliando) alla Scuola la causa della pletora di giovani disoccupati in Italia. Ecco una dissertazione di una giovane studentessa che presenta una posizione critica nei confronti di una visione "divisiva" e auspica, invece, il ritorno alla "valorizzazione delle diversità".

​Piccoli Einstein crescono

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Vogliono dividere gli studenti in bravi ed asini così c'è scritto in un articolo sul giornale. È una notizia che fa molto parlare di se la recente proposta del MIUR. L'obiettivo è quello di dividere gli alunni etichettandoli in più bravi e meno bravi. Molti sono dell'opinione che questo potrebbe essere un ritorno al passato, a quando durante il governo di Mussolini furono approvate nuove proposte di legge per riformare la scuola, le quali prevedevano la differenziazione tra studenti disabili e non, definiti 'anormali'. In realtà questa nuova proposta non è così radicalmente fascista. Infatti si ripropone di numerare di bambini. "Matematica A; italiano B" e così via di modo che ad ogni bambino è data la possibilità di migliorare nelle materie in cui riesce meglio e aiutarlo in quelle in cui trova difficoltà. Personalmente sono totalmente in disaccordo. Credo che la scuola debba insegnare tutt'altro. Innanzitutto è difficile, quasi impossibile stabilire se un bambino delle scuole elementari è più portato per una o l'altra materia. In secondo luogo credo che nessun bambino sia più stimolato a migliorare e a dare il meglio di sé. Infatti se lo scopo era quello di fare in modo che anche i bimbi meno portati per la scuola imparassero di più mi sa che hanno di gran lunga fallito. Difatti se il bambino che non ha proprio voglia di studiare viene messo in una classe costituita da tutti elementi come lui, non credo che questa gli possa nascere improvvisamente, a meno che non sia costretto con la forza. In secondo luogo vi sono dei bambini timidi e insicuri che in questo modo perderebbero del tutto lo stimolo di migliorare e la fiducia in loro stessi. A mio parere ai bambini deve essere insegnata l'uguaglianza, la fratellanza, l'educazione e l'amicizia prima di tutto e poi la matematica. 

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Mi sembra giusto che la scuola sia obbligatoria fino ad una certa età, perché in questo modo coloro i quali non hanno voglia di studiare possono abbandonare gli studi. Inoltre non a caso i professori hanno la facoltà di scegliere di non ammettere alla classe successiva alcuni alunni oppure di assegnargli un recupero in determinate materie. Infine mi sembra che la scuola permetta ai più bravi di migliorare e approfondire con attività extrascolastiche e d'altra parte, a coloro che durante l'anno hanno avuto delle carenze di recuperare con appositi corsi e via dicendo. Non vedo il perché di questa differenziazione: da che mondo è mondo non credo che i bambini che non ottengono buoni risultati abbiano mai ostacolato il processo di istruzione di quelli più capaci o viceversa. Mi sembra anzi che spesso e volentieri i bambini, così come i ragazzi più grandi, stando insieme in classe imparino a collaborare. Che ne sarebbe stato altrimenti delle storie di De Amicis narrate nel libro "Cuore"? Nel capitolo "Il primo della classe" il protagonista racconta: «Ma poi, quando torno a scuola, a vederlo così bello, ridente, trionfante, a sentir com'è cortese e come tutti gli vogliono bene, allora ogni amarezza, ogni disprezzo, mi va via dal cuore. Vorrei essergli sempre vicino allora; vorrei fare tutte le scuole con lui; la sua presenza, la sua voce mi mette coraggio, voglia di lavorare». Per non parlare di quando narra mente aiuta i compagni in difficoltà. Oppure di quando racconta come il bimbo più grosso e forte di tutti protegge il più gracile preso di mira dagli altri compagni. Oppure di quando parla della mamma-maestra che aiuta tutti in classe indipendentemente dal rendimento. Non credo infatti che un professore che vede un alunno in difficoltà giri la faccia dall'altra parte. Insomma, il mondo è bello perché vario e la classe tale perché 'mista', altrimenti non si chiamerebbe classe. Differenziando le classi poi, dovrebbero differenziare anche i professori. E da qui inizieremo a differenziare anche le mamme allora, in 'classe A', 'B' o 'C' e così via. Tutto questo è sbagliato. E' discriminare. In un mondo pieno di persone razziste non mi sembra il caso di mettere altre etichette, così da accrescere anche i pregiudizi. Infondo quasi tutto quello che si impara a scuola è destinato ad essere dimenticato. Sta a noi imparare dalla scuola ad essere cittadini e prima fra tutto persone mettendo in pratica alcuni valori. Nessuno ha il diritto di etichettare gli altri, di dire chi è migliore e chi peggiore. Ognuno è portato per un qualcosa, non tutti per la scuola, ma tutti siamo capaci a modo nostro. Avere un cinque in matematica o in latino o in greco non fa di te una persona meno capace, meno intelligente, meno studiosa o con meno possibilità per il futuro. Che ne sarebbe stato di Albert Einstein allora se fosse stato messo nella classe C di matematica perché non era bravo a scuola? Sicuramente si sarebbe convinto che non era abbastanza bravo e forse non ci avrebbe provato nemmeno a diventare uno tra gli scienziati più importanti della storia!

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