Non si possono spendere soldi pubblici per consentire ai privati di svolgere attività in aree a rischio alluvione
Dopo quasi due mesi dall'alluvione che ha colpito Benevento, la grande attenzione dei politici e dei rappresentanti istituzionali si concentra sulla mancata erogazione dei finanziamenti per i danni e la "ricostruzione". Intanto la Provincia ha effettuato i primi interventi urgenti che si limitano alla "messa in sicurezza" della zona industriale di Ponte Valentino. Si tratta di soldi pubblici buttati al vento per realizzare argini ridicoli in terra battuta, sulle sponde del fiume Tammaro, uno lungo la proprietà dello stabilimento Rummo, l'altro sul lato opposto che l'acqua si sta già portando via. Invece, come segnalano da anni studiosi ed esperti di diverse discipline e come hanno sottolineato anche i tecnici di LEGAMBIENTE, recentemente in città per la presentazione del rapporto "ecosistema urbano", gli argini non servono per impedire che il fiume si espanda naturalmente nelle aree alluvionali. Del resto, siccome non si possono realizzare argini dalla sorgente alla foce del fiume, è chiaro che costruire una barriera a tutela di uno stabilimento, significa determinare la esondazione violenta nell'area immediatamente a valle, nel nostro caso, nella zona industriale lungo il Calore, oppure nell'ansa fluviale del Cimitero, oppure a Ponticelli e poi in città e a Pantano. |
E' chiaro che anche lo stabilimento Rummo, deve essere delocalizzato.
Non abbiamo mai capito perchè ha utilizzato il soldi del post-terremoto per abbandonare lo stabile di via dei Mulini, poi venduto ad un albergatore, e ricostruire proprio sulla sponda del Tammaro, lungo l'antica via Traianea. Non abbiamo mai capito come ha fatto l'Autorità di Bacino a considerare alluvionabile la sponda sinistra del Tammaro e non a rischio quella opposta dove sta Rummo che pure è collocato ad un'altezza inferiore a quella di Mondosider.