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Il Vangelo di Domenica 9 dicembre. A cura di Donato Calabrese

7/12/2018

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SECONDA DOMENICA DI AVVENTO
(Lc. 3,1-6)

Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!.
Da quando Pompeo ha conquistato Gerusalemme, nell’anno 63 a.C.,  la Giudea è divenuta vassallo dei Romani e nell’anno VI d.C., è stata incorporata alla provincia della Siria. Il conforto migliore del popolo nelle angustie della dominazione straniera rimane l’idea messianica. Questa, però, ha un carattere più politico e nazionale, in quanto è alimentata in primo luogo dalla bramosa attesa di un liberatore d’Israele dal giogo romano. Tuttavia ci sono anche persone pie che, in armonia con gli scritti apocalittici del tardo giudaismo, concepiscono il Messia come un re sapiente della stirpe di Davide, il quale, dotato di forze superiori, avrebbe fondato un Regno di Dio soprannaturale e salvato l’umanità dal peccato. Con Giovanni Battista appare l’ultimo e più grande profeta, che ha il compito di aprire la strada al Messia.
È l'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare e Ponzio Pilato è il prefetto della Giudea, come appare su una lapide ritrovata a Cesarea Marittima. È un periodo di fermento per il popolo di Israele, in attesa, ora più che mai, del Messia Liberatore di cui parlano le Sacre Scritture. Ed è in questo quadro, ben definito storicamente e geograficamente dall’evangelista, che “la parola di Dio”, scende su Giovanni Battista.
Noi non sappiamo dove possa aver trascorso la giovinezza, Giovanni Battista.   Sicuramente inizia la sua attività nella regione del Giordano ed ai margini del deserto. Qui la solitudine è impressionante, ma non opprime: stimola all'approfondimento e all'essenzialità. Il contatto con Dio nella preghiera e nella meditazione della Torah, che è la Legge di Mosè, e dei testi dei Profeti, praticato in quest'ambiente di estrema desolazione e solitudine, gli da un'impronta di solidità e radicalità, rendendolo sempre coerente con sé stesso e con la sua missione (Cfr. Ugo Vanni, Giovanni il Battezzatore, In Storia di Gesù, Ed. Rizzoli, vol. 1°, 1983, pag. 128).
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Giovanni Battista percorre la regione del Giordano invitando tutti alla conversione. Ha davanti agli occhi gli scenari geologici della Sua Terra, fatti di sentieri tortuosi, di gole profonde, di monti ripidi e dune sassose, di luoghi inaccessibili e finanche inospitali, come i territori desertici di Giuda e del mar Morto. Queste immagini richiamano, un testo di Isaia che Giovanni fa suo: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” (Cfr. Is 40,3-5). Si tratta di versetti che evocano l’annuncio gioioso del profeta Baruc, quando comunica solennemente che il popolo di Israele, deportato in Babilonia, torna finalmente a Casa dopo vari decenni di esilio, per opera di quel Dio che “ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio” (Baruc 5,7). Ma perché Dio riconduca Israele “con gioia, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui”(idem) è necessario che il popolo si converta.
Nel pensiero biblico espresso particolarmente nei libri dei profeti Osea 14,3 e Gioele 2,13, convertirsi significa “tornare indietro, ritornare al Signore” (Cfr. James D.G. Dunn, Gli albori del cristianesimo,La memoria di Gesù, 2 La missione di Gesù, Ed. Paideia, 2006, 539), non solo come il percorso fatto dal popolo di Israele, da Babilonia a Gerusalemme, ma tornare al Signore con il cuore, con i sentimenti di un pentimento accompagnato dal desiderio di cercare il Bene, e quindi cercare e trovare quel Dio che è Padre nostro e Madre nostra. Al di fuori di Dio non c’è amore. Anzi, tutto l’amore che vediamo e sperimentiamo nella nostra vita, è in Dio e proviene da Dio.
In tale cammino di conversione, e quindi di ritorno al Dio della Pace e della gioia, ognuno ha, nella propria coscienza, dei burroni da riempire, monti da abbassare, sentieri da raddrizzare. Ostacoli da rimuovere perché Dio visiti il suo Popolo e permanga in mezzo ad esso.
Come i vangeli di Marco e Matteo, anche quello di Luca applica a Giovanni Battista questo auspicio di Isaia. Ma Luca prolunga la citazione di Isaia fino al versetto che annuncia la salvezza universale: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.

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Ogni uomo. Quindi, non solo Israele, vedrà la salvezza di Dio. Ma tutta l’umanità, cioè tutti coloro che si convertono a Dio, e sono il nuovo Popolo di Dio, cioè tutti coloro che rifiutano il peccato e il male del mondo, per abbracciare il Bene di Dio.
Ma da dove può venire la salvezza annunciata da Giovanni il Battezzatore?
Da quel Dio che si è rivelato nel Suo Figlio Diletto: Gesù Cristo. Vedere la salvezza di Dio è incontrare Gesù e accoglierlo nella nostra vita.
Ma per incontrare Gesù e permettergli di entrare nel nostro cuore occorre innanzitutto liberarci dai subdoli compromessi col peccato. La comunicazione di oggi, cioè le grandi televisioni, i network, la stampa, il web, ha completamente alienato l’idea stessa di peccato. La gente pensa che ciò che dicono sia la verità. Nulla di più falso: se noi prendiamo per vero ciò che fuoriesce da questo tipo di comunicazione, scegliendo di vivere nel peccato, non facciamo altro che ingannare noi stessi, perché il peccato appartiene al male, e il male è estraneo a quel Dio che per amore e bontà ha creato l’uomo, allo scopo di renderlo partecipe della sua gioia infinita.
Se non cacciamo da noi il peccato, e colui che ne è l’artefice, non possiamo incontrare Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Se non cacciamo il peccato da noi, non saremo mai autenticamente noi stessi, ma solo caricature della nostra realtà di uomini liberi, creati per amore e chiamati all’amore: quello vero, verso Dio e verso i fratelli.
Prima di chiudere questa riflessione, rileggiamo l’invito del Battista che è valido anche per noi: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”. Il messaggio del profeta Isaia, reso attuale da Giovanni Battista, ci dice che la strada da percorrere non è nostra, ma di Dio. E allora, se vogliamo incontrare la Salvezza, che viene da Dio, dobbiamo rinunciare al peccato, rinunciare all’universo di parole banali e inutili, oltre che volgari, forgiate da una parte dei mezzi di comunicazione di oggi e ascoltare l’unica Parola che dà vita: la Parola di Dio, perché solo in questa Parola noi possiamo ritrovare il senso stesso della nostra vita.
Un’ultima cosa: oggi viviamo un attività frenetica e non sappiamo più essere fermi. Ebbene, vi prego, fermiamoci. Stiamo un poco fermi, per ritrovare la calma che ci rende liberi dalle nostre ossessioni e da noi stessi, che siamo in preda ad una continua agitazione. Fermiamoci, e cerchiamo di ritrovare la calma necessaria per riscoprire il mondo attorno a noi. Solo così potremmo prepararci serenamente a questa Santa Festa del Natale, nella quale siamo chiamati a liberarci dalle nostre assurde frenesie personali, come il cellulare e altro ancora, per vivere in modo finalmente libero il rapporto affettivo e solidale con i nostri cari. Questo sarebbe il più bel Natale.

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