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Il Vangelo di Domenica 7 ottobre. A cura di Donato Calabrese

4/10/2018

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XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Mc 10,2-16)

E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «E` lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». 
Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.
Per inquadrare lo sfondo geografico del vangelo di questa domenica, dobbiamo leggere il primo versetto del capitolo 10, al quale appartiene, appunto, questo brano.
“Partito di là, [Gesù] si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare” (Mc 10,1).
Chi segue da tempo queste riflessioni, sa quanta attenzione è rivolta ai luoghi che fanno da cornice agli avvenimenti descritti nei vangeli. Essi non sono affatto secondari e rivestono una loro importanza nel contesto di tutta la narrazione e del messaggio contenuto. Sappiamo, quindi, che il vangelo di questa domenica è ambientato in quel territorio in parte desertico, in parte verdeggiante, che lambisce le acque meridionali del Giordano, a poca distanza dal mar Morto.
Siamo all’incirca nel territorio della Perea e, quindi non molto lontano, geograficamente parlando, da Gerusalemme. Alla scena che segue sono presenti, infatti, alcuni membri del partito religioso dei farisei, uno dei più prestigiosi del mondo ebraico.  
Il ricordo che Gesù abbia trattato il tema del divorzio nel suo insegnamento, è attestato in questo brano di Marco, ma anche nella tradizione dei Detti del Signore, presente nei vangeli di Matteo e Luca (Cfr. Mt 5,32; Lc 16,18), e confermato da Paolo nella prima lettera ai cristiani di Corinto (1Cor 7,10-15). Quindi appare chiaro e preciso l’insegnamento di Gesù su questo tema attualissimo, ancora di più oggi.
Ma rivediamo insieme il brano evangelico nel quale Gesù è avvicinato dai farisei. Per metterlo alla prova gli pongono una domanda in riguardo alla liceità del divorzio: “è lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”.
Per dirla con le parole di oggi: “è lecito ad un marito divorziare dalla moglie? è lecito ad una moglie divorziare dal marito?”. Così è più chiaro, il concetto, almeno per noi.
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I farisei vogliono mettere Gesù in difficoltà, anche perché le due scuole rabbiniche del tempo, non si trovano d’accordo sulla questione. Quella di Hillel e quella di Shammai, interpretano in forma diversa la norma del ripudio, quello che noi, oggi, chiamiamo divorzio. Tutte e due permettono il ripudio della moglie da parte del marito, anche se cambiano di poco le condizioni.
Ma Gesù Cristo, il Figlio di Dio altissimo, la pensa diversamente…
I farisei domandano a Gesù: “E` lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”.
Rispondendo a questa domanda, invita i suoi interlocutori a leggere ciò che ha ordinato Mosè, il legislatore di Israele. E quando essi gli rispondono che Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandare via la moglie, Gesù prende decisamente l’iniziativa, per andare al di là di quanto previsto da Mosè, e ricollegarsi al progetto originario di Dio: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10,5-9). Proprio com’è riportato nelle pagine iniziali del libro della Genesi (Cfr. Gn 2,22ss.), che è il primo libro della Bibbia.
Gesù non accetta la norma del ripudio, che danneggia soprattutto la donna nella società Palestinese, dove vive in una situazione di inferiorità sociale, e restituisce alla donna, la sua antica dignità originale, come presente nel progetto originale di Dio. 
Gesù pone l’uomo e la donna sullo stesso piano. Il suo pensiero va ben oltre a ciò che è scritto nel testo biblico del Deuteronomio (Cfr. Dt 24,1ss), in riguardo al ripudio, per raggiungere il Progetto originario di quel Dio personale che è Amore e che ha creato l’uomo e la donna in modo da formare una sola carne, cioè una sola persona, perché il termine “carne” indica tutta la persona.
Perciò, con la Sua risposta, Gesù si pone al di sopra delle scuole rabbiniche, delle tradizioni matrimoniali del suo tempo, e delle stesse norme stabilite da Mosè, orientando l’attenzione dei suoi ascoltatori sulle parole contenute nel libro della Genesi, riaffermando l’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Il libello del ripudio, o, come diremmo noi oggi, il divorzio tra marito e moglie, non appartiene al Progetto di Dio.

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Ma anche ai suoi discepoli, Gesù ribadisce l’indissolubilità del matrimonio, allorché, rientrati in casa essi lo interpellano nuovamente. Allora, Gesù ripete quando già detto agli altri: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.
Se Dio unisce, l’uomo non deve separare. Il matrimonio è una cosa seria, un istituzione voluta da Dio, preordinata da Dio e finalizzata alla collaborazione con Dio nella creazione. 
Diciamoci la verità, papale, papale: chi dice che il matrimonio sia la tomba dell’amore, afferma un’autentica sciocchezza. La tomba dell’amore, e dell’amore vero, è ben altra cosa: è quando un uomo ha una moglie e cerca un’altra donna; è quando una donna ha il marito e cerca un altro uomo. È quando un uomo dice alla moglie o quando la moglie dice al marito: il nostro amore è finito. Lasciamoci così, senza rancor, come canta un’antica canzone.
Sarebbe facile fare così: distruggere non solo un rapporto d’amore benedetto da Dio, ma addirittura la famiglia che è stata generata da questo rapporto, danneggiando soprattutto i figli, cioè le componenti più deboli e fragili.
I coniugi che lasciano i loro figli per andare a vivere con altri, non si rendono conto del male che arrecano ai figli, così come non si rendono conto dell’offesa che arrecano a Dio, Padre e Sorgente di ogni Amore. In tal caso la loro coscienza si è appannata, se non indurita, sclerotizzata.
Solo quando la nostra coscienza è conforme alla volontà di Dio espressa nei comandamenti, nell’insegnamento di Gesù, e della Chiesa, ci sentiamo in pace con quel Dio che non ci abbandona mai.
La seconda parte del brano evangelico dimostra quanto Gesù ami i bambini, e attraverso l’immagine debole, fragile ed insignificante del bambino ebreo, esprime quello che deve essere l’atteggiamento del vero discepolo di Gesù, e quindi, di ogni uomo che vuole essere un vero figlio di Dio e cittadino del Regno.

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A Gesù sono presentati dei bambini perché li accarezzi, ma i discepoli li sgridano. Questo loro comportamento provoca l’indignazione di Gesù.
Rivolto ad essi, dice: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. 

Per descrivere la reazione indignata di Gesù, l’evangelista utilizza il verbo greco êganaktêsen, che significa essere indignato, essere mosso con indignazione, essere molto scontento. Prendendo le difese dei bambini che vogliono andare da Lui, Gesù esprime sdegno, emozione profonda, addolorata nei confronti dei suoi discepoli. Per farvi intendere ancora di più lo sdegno di Gesù, basti dire che questo verbo non è presente in nessun altra parte dei vangeli, ad eccezione del presente brano di Marco. Gesù prende, quindi, i bambini fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benedice. Vedete, cari bambini, come vi vuole bene Gesù. Arriva al punto di rimproverare con sdegno i suoi apostoli che vogliono impedire loro di correre tra le sue braccia. E soprattutto dice: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio”.  Gesù insegna che i bambini sono i destinatari privilegiati del Regno di Dio, e li benedice compiendo un triplice gesto di tenerezza: li accoglie; impone le mani su di loro, simbolo della potenza divina (Cfr. Es 15,6; Sal 19,7; 79,18; 117,16) e della piena appartenenza al Regno dei cieli.

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Cari amici che siete in ascolto, dobbiamo essere come bambini, e avere un cuore puro, se vogliamo essere pienamente fedeli al Progetto che Dio ha su ognuno di noi.
Padre Pio diceva spesso che da ragazzo era come “un maccherone senza sale”.  Senza sale potrebbe voler dire insignificante, insipido, scialbo. Ma potrebbe esprimere qualcos’altro di molto più pregnante. Senza sale potrebbe significare senza malizia e senza astuzia. Proprio come un bambino.
C’è una frase di un suo confratello che l’ha conosciuto molto bene, padre Agostino da San Marco in Lamis. Un detto che sembra proprio rivelare questo aspetto nascosto e quasi sconosciuto della personalità di Padre Pio: “Quale semplicità infantile!... Pare davvero un bambino!”. 
Perciò, la frase “un maccherone senza sale” può significare appunto senza male, come appare evidente sul suo volto immortalato nelle immagini e nei video che lo ritraggono da solo, con qualcuno al fianco, o in mezzo alla folla.
Una creatura impastata di semplicità, di innocenza, di candore, e, quindi, molto vicina all’uomo originale, l’essere bello, buono e santo che Dio ha voluto creare “a sua immagine e somiglianza”.
Una creatura così non poteva non fare grandi cose, in virtù della sua innocenza e della mancanza di malizia, perché con l’umiltà, la semplicità e il candore dell’uomo, Dio strappa le più grandi vittorie allo spirito del male.
“Il suo sguardo non lo reggevo. Non perché dovessi nascondergli qualcosa, o per paura che mi leggesse dentro, ma perché gli occhi erano troppo belli, di una bellezza che abbagliava”, così ha rivelato, nel suo libro, padre Eusebio da Castelpetroso.
Era lo sguardo della dolcezza, dell’innocenza, del candore. Lo sguardo di un’anima che viveva nel suo cuore la virtù angelica della castità, della purezza, dell’amore verginale verso Dio.

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