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Il Vangelo di Domenica 6 novembre. A cura di Donato Calabrese

5/11/2016

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XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Lc 20, 27-38)

Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie».
Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui». ​
L’idea di una certa sopravvivenza dell'essere umano alla morte è presente già nei primi libri della Bibbia, anche se si tratta di un pensiero che si riferisce, più che altro, a un tipo di vita tenue ed incorporeo, di una specie di vita “delle ombre”; di qualcosa, cioè, che sfugge alla morte e che fa parte di un luogo che nell’antico testamento, quello che gli ebrei chiamano TaNaKh (è l’acronimo con cui sono indicati i testi sacri di Israele, quelli che si identificano con la Bibbia ebraica e corrispondono, più o meno, all’Antico Testamento della Bibbia cristiana), ed è indicato con il nome di Sheol: Il regno dei morti. Nella versione greca del Vecchio Testamento, la cosiddetta Settanta, il termine Sheol è tradotto con Ade.
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Molto lentamente, però, nel pensiero ebraico si fa strada l'idea di una vera vita anche dopo la morte, tanto è vero che nei racconti della vita di Elia ed Eliseo si sviluppa con una certa evidenza l'idea del potere di Dio sulla vita oltre la morte .
Nel libro di Isaia è prevista la risurrezione di un misterioso personaggio, il Servo di Dio sofferente, la cui missione di salvezza non riguarda solo Israele ma tutti i popoli e la cui sembra concludersi tragicamente. Ma Lui sarà glorioso dopo la morte e così salverà gli uomini, versando il suo sangue per loro.
Quindi, lentamente nella letteratura biblica avanza si sviluppa anche l’idea della resurrezione dai morti, che con l’apocalittica Giudaica, in particolare con il profeta Daniele (Dn 12,1ss.), si delinea chiaramente, fino a raggiungere il culmine nel libro dei Maccabei, nel quale emerge l’episodio di una’eroica figura di donna che, vedendo morire uno dopo l’altro e nello stesso giorno, i suoi sette figli fedeli fino al martirio verso il Dio rivelato, arrivò a pronunciare questo atto  di purissima fede nel Dio di Israele: “Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il creatore del mondo, che ha plasmato alla origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi” (2Mac 7,22-23).
Nel mondo ebraico contemporaneo a Gesù, non tutti credono nell’idea della risurrezione dai morti. Un interrogativo che coinvolge i due principali partiti religiosi del tempo: quello dei farisei, che fa affidamento sulla luce che trapela dai testi sacri, credendo, quindi, nella vita ultraterrena. E quello dei Sadducei, che non crede alla prospettiva della risurrezione, perché riconosce solo ciò che è affermato esplicitamente nel Pentateuco, la raccolta dei primi cinque libri della Bibbia.
Su questo importantissimo confronto che tocca profondamente l’essere umano, e ancora di più l’anima religiosa ebraica, è interpellato Gesù di Nazareth.

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Prima di riflettere sulla risposta di Gesù ai sadducei, dobbiamo dire qualche parola sulla legge del Levirato, secondo la quale un uomo è tenuto a sposare la cognata vedova, rimasta senza figli, per dare discendenti al fratello deceduto.
Quindi, alla luce di questa norma presente nel libro del Deuteronomio (Dt 25,5-20), i sadducei presentano a Gesù un caso estremo: una donna perde il marito senza aver avuto figli da lui. Il fratello dello scomparso sposa la vedova. Ma anche questo muore. Poi la donna sposa un terzo fratello, quindi un quarto, fino al settimo fratello, che muoiono tutti. Una volta risorti, nel Regno dei cieli, quale di questi fratelli sarà il marito della donna? È chiara la provocazione dei Sadducei che non credono alla risurrezione dei morti. Forse, il sadduceo che ha posto la domanda a Gesù vuole deridere i farisei e tutti coloro che credono nella risurrezione, facendosi gioco di Gesù stesso, che predica la verità della risurrezione.
Alla domanda del sadduceo, Gesù risponde: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio”.
Con la frase “figli della risurrezione… figli di Dio, Gesù intende affermare che “grazie alla risurrezione gli uomini sono introdotti in un’esistenza nuova: partecipi, quali “figli di Dio”, della sua stessa vita”.
Nella resurrezione e nella Vita in Dio, il matrimonio non esisterà se non per quanto riguarda il sentimento supremo dell'Amore che lo ha vivificato. Cari sposi, voi continuerete ad amarvi sempre. Anzi, nella Casa del Padre il vostro amore sarà più puro. Sarà un amore divino.

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Scendendo sul loro terreno preferito, cioè i cinque testi del Pentateuco, che sono i primi cinque libri della Bibbia, gli unici testi accettati da loro, Gesù risponde ai Sadducei mostrando proprio in quegli antichi rotoli il fondamento biblico della Resurrezione, il fatto che sin dall’inizio Dio ha voluto dire all’uomo: Tu sei nato per la vita e non per morire.
Infatti, Gesù rimanda all'episodio biblico della rivelazione di Dio a Mosè, sul monte Oreb, in mezzo al roveto ardente: “Che poi i morti  risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. 
Proprio ai Sadducei che considerano vincolante solamente la cosiddetta Legge scritta, cioè quanto è contenuto nella Torah, racchiusa nei primi cinque libri della Bibbia, Gesù risponde con un testo molto conosciuto, specialmente da loro: il libro dell'Esodo, capitolo 3, versetto 6.
E' chiaro quello che intende far capire il Nazareno: la relazione vitale di Dio con gli uomini credenti come Abramo, Isacco e Giacobbe, non è spezzata neppure dalla morte. Il Dio vivente resta fedele al suo impegno di Alleanza con l'uomo anche nella morte.
Questo della morte e della vita oltre la morte è uno dei dilemmi fondamentali dell’uomo di tutti i tempi. Qualcosa che ci tocca fino al profondo. Specialmente quando pensiamo ai nostri cari che non ci sono più, e a noi stessi.
Con le parole che abbiamo ascoltato, Gesù dice che Dio vuole la nostra esistenza accanto a Lui. Egli ci vuole  con Lui, in comunione con Lui. Solo chi ha cominciato a fare esperienza di vita nuova in Cristo, può pensare veramente a questo.

Quindi fin dal presente ognuno di noi è invitato a  vivere in comunione di amore con Dio, nell'attesa che questa comunione si prolunghi e raggiunga la sua pienezza, al di là della morte, nella gloria della Risurrezione, allorché potremo vivere la gioia piena, infinita, che solo Dio può donare.

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