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Il Vangelo di Domenica 6 gennaio. A cura di Donato Calabrese

4/1/2019

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EPIFANIA DEL SIGNORE
(Matteo 2-1-12)

Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo».     
All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».  
Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. 
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.
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La parola greca Epifania significa manifestazione, e indica, infatti, la manifestazione di Gesù Cristo come Salvatore di tutti gli uomini, che nella scena evangelica, sono rappresentati dai Re Magi:  misteriosi personaggi provenienti, forse, dalla Persia.
La parola greca magoi aveva un significato assai ampio nel mondo antico, anche se nell’ambito del presente testo evangelico, potrebbe riferirsi, più che altro, a personaggi orientali, sapienti  e studiosi di astrologia.
Non ci sono notizie credibili sulla loro regalità, anche se in alcuni passi dell’Antico Testamento (Cfr. Is 60,6; Sal 71,10-15)  ci potrebbe essere un riferimento profetico alla loro regalità.
Pure se è messa in discussione da parte di qualche studioso (Cfr. Mauro Pesce, in Augias-Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori, 2006), la storicità dei Magi è riconosciuta da altri (Cfr. Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Mondadori, 1962. Recentemente Carsten Peter Thiede, Jesus, Edizioni Messaggero Padova, 2009).
C’è un episodio indicativo che potrebbe anche dimostrare la storicità del racconto di Matteo, ed avvenne nell’anno 614, quando a Betlemme  arrivarono i Persiani di Cosroe II, in lotta contro i Bizantini. Pur avendo messo a ferro e a fuoco Gerusalemme e dintorni, i Persiani risparmiarono la città. Furono distolti dai loro propositi vandalici da un mosaico della basilica della Natività, che raffigurava i Magi, vestiti alla foggia persiana, venuti ad adorare il Bambino Gesù. Non sappiamo con precisione dove si trovasse questo mosaico, dato che mancano descrizioni sistematiche della basilica antica. È probabile che ornasse la parte superiore della facciata.
I Persiani riconobbero nel mosaico le figure dei sapienti della loro Terra, e perciò risparmiarono Betlemme e la Basilica della Natività dalla distruzione.
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Il brano evangelico, è pregno di reminiscenze bibliche. I riferimenti all’Antico Testamento sono abbondanti ed esprimono quella che è una caratteristica peculiare di Matteo, che scrive il suo vangelo per i cristiani di origine ebraica.
Matteo fa un uso abbondante di citazioni dell’Antico Testamento, allo scopo di dimostrare che le antiche promesse presenti nelle Scritture Sacre si stanno finalmente avverando, e tutte convergono verso Gesù di Nazareth.
Al centro della scena evangelica c’è questo Bambino che è nato da Maria, a Betlemme di Giuda, proprio come aveva predetto il profeta Michea, circa sette secoli prima.
Matteo ci dice che i Magi giungono fin qui, in Giudea, perché hanno “visto sorgere la sua stella”, e sono “venuti per adorarlo”.  
Di che stella si tratti, è difficile dirlo, anche perché nessuna stella si muove e poi si ferma all’improvviso, sopra la capanna di Betlemme. Potrebbe, invece, trattarsi di una congiunzione di pianeti, o addirittura di un segno miracoloso, considerato che solo i re magi riescono a vederlo. Secondo un’idea diffusa nell’antichità, la nascita dei grandi personaggi storici era annunciata da un segno in cielo. Inoltre, nella stessa Scrittura Sacra, la speranza del Messia era raffigurata nella stella vagheggiata nel libro dei Numeri: “Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele”(Nm 24,17). 
È probabile che nelle loro ricerche della verità assoluta, i Magi abbiano fatto conoscenza dei testi sacri della Bibbia, considerato anche che proprio in Mesopotamia, il popolo di Israele visse gli anni tormentati della deportazione Babilonese, coltivando profondamente,  in questo lungo periodo, l’attesa di un Re giusto che doveva venire nel mondo, e che era stato annunciato dai profeti di Israele. Certamente, qualcosa li ha spinti a lasciare le loro terre lontane, per venire qui, nella Terra di Israele, e cercare il re dei Giudei.Già questa parola, re dei Giudei, avrà provocato d’acchito un profondo turbamento nel re Erode, preoccupato per la difesa dei suoi privilegi. Chi può essere questo “Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”, come hanno detto i Magi?

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Meraviglia la precisazione di Matteo: “All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Chissà cosa vuole dire, l’evangelista. Forse vuole evidenziare, già da ora, l’atteggiamento di rifiuto della Città cosiddetta “Santa” verso il Figlio di Dio. Quel rifiuto che sarà marchiato con l’atto cruento e doloroso della crocifissione?
Due azioni evidenziano, velatamente, questo episodio narrato da Matteo: la nascita umile e semplice del Figlio di Dio ed il conseguente turbamento di coloro che credono di essere grandi: Erode, grande in potenza; Gerusalemme, grande in santità. In realtà di santo c’è uno solo: Colui che è stato predetto dai profeti, nel corso dei secoli, e che fin dal suo nascere è destinato a raccogliere il rifiuto, da parte di chi lo aspettava fin dai tempi antichi.
Diversamente da Luca, che pone in evidenza la gioia e la pace che promana dal presepe, Matteo ci dice che, sin dalla sua venuta in mezzo a noi, Gesù ha saggiato l’amarezza, la sofferenza ed il rifiuto di coloro che credono di essere grandi. La sofferenza ed il rifiuto che saranno il germe di una vita nuova e di una Storia nuova. Una storia che comincia qui, nella piccola, umile borgata di Betlemme di Giudea, anche se le fondamenta sono state poste in un’altra località, ancora più sconosciuta alle grandi pagine della Storia Biblica: Nazareth. Ancora una volta Dio dimostra di voler scrivere la Storia Divina sulle pagine incolori, ordinarie, semplici ed umili di luoghi sconosciuti e molto diversi dalla Città Santa di Gerusalemme, che si vanta di custodire la sua Casa: il Tempio. Questo significa che Dio ama e predilige ciò che è umile e semplice; cioè che è nascosto ed autentico; ciò che è sincero e puro, come gli occhi di un bambino o di un essere umano segnato profondamente dal dolore e dalla malattia.

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L’adorazione dei magi indica un’altra grande sublime realtà: non solo il popolo della promessa, Israele, può contemplare, finalmente, il più bello tra i figli dell’uomo (Sal 44,3), ma, d’ora in avanti, tutti i popoli potranno conoscerlo ed amarlo.
E allora, concludendo questa mia riflessione, domando a me stesso ed a voi:  Cosa rappresenta questa solennità dell’Epifania per tutti noi?
Innanzitutto un Segnale di speranza, nel senso che la novità del Figlio di Dio fattosi carne e nato a Betlemme, non è una favola o uno di quei racconti fantastici che vanno tanto di moda nella cinematografia di oggi, ma è radicata nelle Scritture Sacre: la Bibbia, per intenderci. Inoltre, non riguarda solo il Popolo della Promessa, cioè Israele, ma tutto il mondo, ed ogni uomo in particolare. La storia di Dio si intreccia mirabilmente con la storia di ognuno di noi, non escludendo neanche il dolore, il male, e la morte.
La Bella Notizia, sempre attuale, è questa: Dio ha squarciato le tenebre del mondo, per rivelarsi a tutti, e dire a tutti noi che vuole salvarci dal male, dal peccato, dal dolore e dalla morte, e desidera che noi entriamo in comunione con Lui. Questa è l’essenza del Messaggio che, a noi giunge, non solo dalla Festa dell’Epifania, ma da tutto l’evento del Natale, dal quale si dispiega  nel modo più mirabile e finanche credibile, agli occhi umani, la Storia del Figlio di Dio, venuto ad abitare in mezzo a noi. Una storia che avrà il suo culmine nella Passione e morte, durante la quale, il Figlio di Dio, il Messia, il Cristo, offrirà la massima prova dell’amore del Padre.
E allora, alla luce di questo grande Segno di Speranza, per la storia umana, ognuno di noi è chiamato a farsi Epifania, “manifestazione di Cristo agli uomini. Ognuno deve vivere in modo tale da rivelare qualcosa di Lui, soprattutto la sua bontà e il suo amore” (Camillo Francesco M. Pierbon, Miei Cari Fratelli, Omelie Anno C per le domeniche e le feste di precetto,  Edizioni Studio Domenicano, ottobre 1997, 96).
Se ci rifiutiamo di farlo, non saremo credibili. Se, invece, lo facciamo, dimostriamo a noi stessi, ed anche agli altri, di aver fatto e di fare ancora l’esperienza vitale della nostra comunione con Cristo Gesù, offrendo a Dio, a nostra volta, la prova più alta del nostro amore, la nostra risposta amorevole a Lui, che ci ha amato per primo (Cfr. 1Gv 4,19).

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