Domenica fra l’ottava di Natale. |
C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
E la scena della Natività che noi contempliamo in questi giorni, non può non suscitare in noi l’attenzione e l’amore verso la più umile, la più semplice, ma anche la più grande delle famiglie umane. E la stessa Festa della Santa Famiglia, inserita dalla liturgia in questo ambito gioioso del Natale di Gesù, ci permette di convergere ancora una volta la nostra attenzione sul bambinello Gesù, su Maria, e su Giuseppe, facendoci riscoprire questo mirabile modello di ogni famiglia umana, con tutto il suo bagaglio di bene, ma anche con il peso rilevante di problemi quotidiani.
Nel brano evangelico di Luca, troviamo già delineati, in sintesi, i dilemmi, le questioni, ed a volte anche i drammi con cui si trova a convivere questo singolare nucleo familiare, modello di ogni famiglia umana.
Certamente, l'evangelista Luca avrà avuto delle fonti di prima mano su questo periodo della vita di Gesù, e non si può non pensare che sia stata la stessa Madre di Gesù a raccontargli gli episodi dei vangeli dell'infanzia, di cui fa parte il testo che abbiamo ascoltato.
Ma quello che colpisce subito nel vangelo di Luca è il ruolo di Gerusalemme: la città santa. Gerusalemme è il punto di partenza e d’arrivo nell’esistenza terrena di Gesù.
A Gerusalemme, o nei pressi, inizia il vangelo di Luca ed a Gerusalemme termina, lasciando chiaramente comprendere la centralità della città santa e del Tempio.
Ed è qui, nel tempio di Gerusalemme, che avviene l’episodio evangelico raccontato da Luca.
Si compie il tempo della purificazione, secondo la Legge di Mosè, e, come ogni neonato ebreo, Gesù è condotto al Tempio per essere offerto al Signore, com’è scritto nella Torah, la Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore (Cfr. Lv 1,14;5,7; etc…).
A Gerusalemme c'è un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspetta il conforto d'Israele. Lo Spirito Santo che è con lui gli ha preannunciato che non avrebbe visto la morte se non dopo aver prima finalmente incontrato il Messia del Signore.
Senza essere avvertito da nessuno Simone va al tempio per pregare. Ma la sua preghiera è interrotta dai vagiti di un bambino. Comprende, Simeone, che un nuovo nato sta per essere presentato al Signore. Ma lo Spirito di Dio gli dice qualcos’altro: che in quel bimbo debole e inerme è presente l’inviato di Dio Altissimo.

Riflettete bene, cari amici, perché in questa frase appare chiaramente la centralità della vita e della missione di questo Bambino nella Storia della salvezza.
“I miei occhi han visto la tua salvezza”, proclama ad alta voce il vecchio Simeone. Il termine salvezza va naturalmente collegato a Colui che lo impersona in pienezza, cioè il Salvatore: Gesù, il cui nome significa, appunto, Dio salva.
Con questi termini di Salvezza e Salvatore che sono tipicamente suoi, Luca evangelista definisce la persona di Dio e di Gesù e la loro attività a favore dell’uomo. Luca vede in Gesù il Salvatore di tutta l’umanità, come appare nella genealogia che risale fino ad Adamo, e nelle parole di Simeone quando dice: “I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”
Con queste parole l’evangelista intende annunciare, per mezzo di Simeone, che la Salvezza promessa nell’antico Testamento si va compiendo, ora, nella persona di Gesù.
Forse Maria e Giuseppe si stupiscono di fronte alle parole del vecchio Simeone. Ma lo stupore è vivo nell’espressione successiva, allorché aggiunge: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima”.
La vita di questo Bambino sarà contrassegnata da grandi cose, ma anche da ostilità. Tutto dipenderà da come ognuno si porrà di fronte alla salvezza di Dio.
Il brano evangelico così conclude: “Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui”.
Nel linguaggio dell’evangelista l’“essere sopra” (Cfr. Giovanni Paolo II, Udienza Generale, Mercoledì, 27 giugno 1990) ad una persona eletta da Dio a una missione, è attribuito allo Spirito Santo, come nel caso di Maria e di Simeone. Ciò significa trascendenza, signoria, azione intima dello Spirito Santo, secondo le parole del Papa Giovanni Paolo II.

Gesù, Maria e Giuseppe, la piccola famiglia di Nazareth torna in Galilea e rientra nel silenzio, nella quotidianità, nella semplicità di ogni famiglia umana. È una famiglia come tutte le altre, proprio per essere “modello a tutte le altre”.
Una famiglia che fa molti sacrifici: in un villaggio piccolo come Nazareth non è che il lavoro è sempre a portata di mano: chissà se qualche volta a questa famiglia non sarà mancato persino un alimento base come il pane, e chissà quante sofferenze, quante angustie, quante pene ha dovuto sopportare. Anche nei momenti più sofferti e difficili, Giuseppe ha rappresentato il punto di riferimento per Maria e per Gesù bambino: questo Dio umanato, Creatore delle Galassie che non cessa, finanche nelle vesti di un semplice bambino di un anonimo villaggio della Galilea, di insegnarci a vivere da uomini veri, di fronte a tutte le sfide dell’esistenza umana.
Nel Bambino Gesù inabita l'inaccessibile Dio. Eppure, chissà quante volte egli ha sperimentato la sua umana debolezza, ed il suo umano desiderio di qualcosa che non possedeva.
Nazareth ci insegna che cos'è la famiglia; il suo carattere sacro e inviolabile; la comunione d'amore. Come è importante vivere in semplicità, sincerità, amore e rispetto reciproco . Come è necessaria e basilare l'educazione della famiglia, ambiente privilegiato per ogni bambino che cresce nell'amore dei genitori.
Cerchiamo di guardare alla famiglia di Nazareth, tenendola sempre presente nella nostra vita, e vedremo che anche le nostre famiglie riacquisteranno quell'identità cristiana che è stata sempre un patrimonio inalienabile della nostra gente.
Oggi l’istituzione familiare è attaccata da tutte le parti. E specialmente dal pensiero imperante e diffuso nella Comunicazione di massa. È deprimente il messaggio trasmesso dalle grandi e piccole televisioni, dai grandi quotidiani nazionali, da Internet, dalle radio, e perfino dagli spot pubblicitari. Tutto concorre a sgretolare l’istituzione familiare. Eppure la famiglia è di origine divina, e nulla e nessuno può sostituirla. Neanche le inique leggi create dalle istituzioni umane. E oggi che la famiglia è aggredita da tutte la parti, appare sempre più fondamentale per costruire la civiltà umana e cristiana.
Senza la famiglia c’è la distruzione e la morte di ogni valore. Con la famiglia c’è il bene assoluto, edificato sulla civiltà dell’amore.
D’accordo: in ogni famiglia c’è una marea di problemi: tra gli sposi, tra loro ed i figli, e viceversa. Ma questi problemi, che a volte assumono dimensioni drammatiche, vanno risolti con la tolleranza e l’amore. L’amore dei coniugi e l’amore dei genitori per i figli e viceversa. Non una parola eterea, ma un sentimento profondo, radicato sulla rinuncia a sé stesso e sul sacrificio. Solo così può avere un valore immenso i cui effetti si riverberano su tutta la famiglia.
Guardiamo alla Famiglia di Nazareth ed impariamo ad amare col suo amore. L’amore vero non si riduce solo all’aspetto fisico, ma si completa in quello spirituale, affettivo. È solo allora che può essere veramente Amore, con la A maiuscola. Altrimenti è un surrogato, una pessima controfigura del sentimento più alto e mirabile della Creazione. Un sentimento che risale direttamente a quel Dio d’amore immenso che ci ha creati con amore e per amore. Ma ci chiede amore.