I DOMENICA DI AVVENTO |
Il passo del vangelo di Marco, proposto alla nostra riflessione in questa prima domenica di Avvento, è presente anche nei testi di Luca (Cfr. Lc 12,35-38) e Matteo (Cfr. Mt 24,42), anche se mostra delle notevoli diversità tra le varie redazioni evangeliche, nelle quali, però, è comune il tema della Parusia, cioè il ritorno di Cristo, nella Gloria, alla fine del mondo. Infatti, come già ripetuto nelle scorse settimane, nelle comunità cristiane delle origini, era molto sentita l’attesa di un ritorno di Gesù che ponesse fine all’ordine naturale degli uomini e delle cose, per ricreare cieli nuovi e terra nuova, nei quali avesse stabile dimora la giustizia (Cfr 2Pt 3,13). Il brano evangelico di Marco si mostrerebbe, però, più originale rispetto a Luca e Matteo, anche perché il comando di vigilare è dato soltanto al portiere, o custode: “State attenti, vegliate – dice Gesù ai suoi ascoltatori - perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare”
Le parole della breve parabola chiamata “del portiere” o “del custode”, fanno parte del cosiddetto discorso escatologico, storicamente incorniciato nel periodo che precede l’arresto di Gesù e la Sua Passione e morte. Quindi, queste parole sono molto importanti, perché appartengono agli ultimi insegnamenti del Nazzareno. Ma noi ci domandiamo ora: a chi è diretta l’esortazione di Gesù alla vigilanza? Storicamente parlando, è probabile che le parole che abbiamo ascoltato possano essere state rivolte ai discepoli e potrebbero essere messe in relazione con quelle che dirà nel Getsemani: “Vegliate e pregate per non cadere nella tentazione”(Mc 14,48). In tal caso il richiamo alla vigilanza allude al sopraggiungere della tribolazione escatologica, all’offensiva di Satana contro i santi di Dio, avvenimenti il cui inizio Gesù poneva in collegamento con la sua passione. C’è, tuttavia, una seconda chiave di lettura dell’episodio evangelico, per cui l’invito alla vigilanza può essere stato rivolto alla folla che ascolta Gesù. Secondo lo studioso tedesco Joachim Jeremias, le parole di Gesù sarebbero state rivolte, in origine, a coloro che pretendono di possedere le chiavi del Regno dei cieli (Mt 23,13; Lc 11,52), cioè i dottori della legge (Cfr. Joachim Jeremias, Le parabole di Gesù, Biblioteca di cultura religiosa, Paideia Editrice Brescia, 1973, 65), coloro, cioè, che si ritengono depositari ed interpreti delle Sacre Scritture.

A questo punto, rileggiamo la breve parabola: “State attenti, vegliate - dice Gesù - perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!”.
Avete notato una cosa? C’è un passaggio significativo nel testo della parabola: all’inizio è “uno” che è partito, ma quando ritorna è “il padrone di casa”, “o kurios”, cioè “il Signore”. Con questo passaggio di termini, da uomo a Signore, Gesù potrebbe voler invitare i dottori della legge a leggere al di là delle apparenze di un semplice uomo, seppure chiamato Rabbi e profeta. Cosa può celarsi, perciò, nella persona di un “uomo” che è anche “Signore”, come leggiamo nella sfumatura del testo greco di Marco?
Tra i chiaroscuri di questo vangelo arcaico emerge un’incredibile realtà: Dio è in mezzo a loro, ed è rivestito della semplice tunica di un uomo che si chiama Gesù di Nazareth. Ma loro, i capi religiosi ebraici, non sanno, non vedono, o non vogliono accoglierlo.
Dopo qualche decennio, la Chiesa primitiva applicherà la parabola di Gesù alla sua situazione di sofferenza e alla Parusia, cioè il ritorno trionfale di Cristo, che tarda a realizzarsi.
Ma le parole di Gesù sono sempre attuali, specialmente nel tempo in cui viviamo. Il suo invito alla vigilanza ci dice che noi cristiani di oggi non dobbiamo essere schiavi, protagonisti passivi, di quel tempo che i greci chiamano chrónos: e che scandisce meccanicamente gli istanti della vita umana.
Noi che abbiamo accolto Cristo Gesù nella nostra vita, divenendo quindi figli di Dio, siamo chiamati a vivere il tempo in modo diverso. È il tempo: kairós. È il tempo giusto, il tempo di Dio, il tempo che permette ad ognuno attivi e positivi, trasformando con il nostro amore tutto ciò che facciamo, anche nel dolore. È il tempo che ci permette di dare un senso alla nostra vita.

Viviamo il tempo come kairós, in pienezza, e lasciamo spazio al Figlio di Dio, perché venga in noi, secondo le Sue parole: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). In tal modo la Sua è la Presenza più intima, nascosta, discreta, feconda, vita; una Presenza che trasforma la nostra vita;.e trasforma il mondo: “Occulta è la venuta intermedia - ci dice San Bernardo da Chiaravalle - in cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi, e le loro anime ne sono salvate. Nella prima venuta dunque egli [Gesù] venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell'ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all'ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell'ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione” (San Bernardo da Chiaravalle, Discorsi, Disc. 5 sull'Avvento, 1-3; Opera omnia, Edit. cisterc. 4 [1966], 188-190).
Ed è proprio in questa fase intermedia, della continua venuta del Cristo in noi che lo abbiamo accolto, divenendo figli di Dio, che cade lo spazio temporale collegato al viaggio di colui che, nella parabola, è definito come un uomo e che, nel versetto successivo, è, invece, qualificato in greco come “o kurios”, cioè “il Signore”.
E allora, possiamo dire che nell’accogliere l’invito a vegliare e vigilare, da parte di Gesù, siamo sollecitati a vivere non freddamente, non passivamente, non aspettando fatalisticamente lo scorrere delle ore, come chrónos, il tempo a nostra disposizione; quanto, piuttosto, a viverlo come kairós, cioè come tempo di grazia, tempo dell’attesa del Dio che viene a nascere, anche se è già nato. Ma torna a nascere, nei nostri cuori. È la venuta intermedia del Figlio di Dio, contemplata da san Bernardo. E questa continua incarnazione di Cristo, in noi, ogni momento è una nascita, ed una rinascita.
La vigilanza cristiana è un atteggiamento ed un sentimento che ci deve proiettare in un clima di gioia, di speranza, di amore, in preparazione alla notte di Natale in cui rivivremo ancora una volta l’Evento sublime e gioioso della “Venuta di Dio” in mezzo a noi. Un evento che non sia fossilizzato nei soliti cliché, e nelle immagini stereotipe che, purtroppo, accompagnano da anni il Natale di Gesù, ma sia da noi accolto con novità di vita, con novità di cuore, con novità di spirito, con maggiore attenzione a ciò che è già avvenuto duemila anni fa e tuttora fermenta la storia, nonostante la millenaria sclerosi del cuore e dell’animo umano.
Ogni nostro giorno deve essere Avvento, attesa, preparazione per l’arrivo del Padrone di casa, di Colui che è “ho kurios”, il Signore, il “Dio che viene”.