DOMENICA XXX DEL TEMPO ORDINARIO |
La fama di Gesù lo precede, ormai, e tutti corrono a vederlo, nella speranza di assistere a qualche prodigio, o perché attratti dalla sua santità.
Il profeta di Nazareth è ormai conosciuto come l’amico dei poveri, dei malati, dei peccatori e vuole annunciare a ogni creatura che la salvezza di Dio è presente e che la misericordia e l’amore divino sono riversati in ogni anima che accoglie la Sua Parola.
Come le acque del Giordano apportano vita al mar Morto, così l’acqua viva di Gesù ridà vita alle acque stagnanti dell’esistenza umana scandita da sofferenze, malattie, debolezze e fragilità di ogni tipo.
È arrivato, finalmente a Gerico, ed a Gerico Gesù è attorniato dalla folla: Tutti corrono a far corona al suo passaggio, tranne i paralitici, i malati, ed i ciechi, che non possono competere con chi ha le gambe per correre più degli altri, o con chi ha le braccia per farsi largo tra la folla; chi ha gli occhi per orientarsi e fare in modo da incrociare il suo sguardo.
Eppure le Vie del Signore sono infinite. Ed a Gerico Dio manifesta, ancora una volta, la Sua Predilezione per gli umili e gli ultimi. Proprio come aveva parlato nei tempi antichi, per bocca del profeta Ezechiele: “Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura… Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare…Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,11.15-16).
Il brano evangelico ci dice che mentre Gesù parte da Gerico in compagnia dei suoi discepoli ed è attorniato da molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che è cieco e siede lungo la strada a mendicare, sente che sta passando Gesù Nazareno. E allora comincia a gridare, dicendo: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo sgridano per farlo tacere, ma lui grida più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

Ci ha sempre colpito l'atteggiamento di grande fede da parte di quest'uomo che senza curarsi dei rimproveri e degli inviti a tacere, da parte della sua gente; malgrado le minacce, le urla ed il disprezzo dei presenti alla scena, alza il capo e caccia fuori dalla sua gola un grido di invocazione, di implorazione, di pietà, di abbandono, di fiducia totale in Colui nel quale la gente vede il Profeta, l'Inviato di Dio, forse il Cristo.
Allora Gesù si ferma e dice: “Chiamatelo!”. Il cieco, finalmente, è chiamato, e forse anche da coloro che fino a quel momento lo deridevano. “Coraggio! Alzati, ti chiama!”, gli dicono.
Che cosa spinge Gesù a fermarsi? L'invito di un potente? La parola di un notabile? l'ospitalità di un cortigiano di Erode? L’invito di uno scriba o di un fariseo? Niente di tutto questo.
È il grido di un povero cieco che fa breccia nel suo cuore: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.
Un uomo cieco abbandonato da tutti e che vive alla giornata mangiando quel poco che gli viene dato, per pietà, in elemosina. Un uomo il cui grido di dolore fa breccia nel cuore di Gesù, palpabile immagine del Cuore Amorevole e misericordioso di Dio.
“Chiamatelo!”. Il comando imperioso del Maestro sottolinea una realtà incrollabile: La voce dell'uomo che soffre, raggiunge il cuore di Dio che è il Padre di tutti. In quel “Chiamatelo!” di Gesù c'è l'Amore e la Tenerezza di Dio che si piega misericordioso su ogni sofferenza e su ogni uomo che si interroga di fronte al dolore, chiedendosi: “Perché?”.

“Che vuoi che io ti faccia?”, dice Gesù guardandolo in quegli occhi privi di luce. E il cieco a lui: “Rabbunì, che significa Maestro mio, che io riabbia la vista!”. La parola aramaica Rhabbounì (rabboni o rabbuni) è senz’altro indice di una formulazione primitiva (Cfr. James D.G. Dunn, Gli albori del cristianesimo,La memoria di Gesù, 2 La missione di Gesù, Ed. Paideia, 2006, 679), ed è più solenne del consueto Rabbi, che significa Maestro. Un termine completamente assente nell’Antico Testamento, mentre nel Nuovo Testamento è presente solo qui e nel grido di gioia e di confidenza della Maddalena di fronte al Cristo Risorto. Un grido che si avvicina molto a quella che sarà, poi, la professione di fede di Tommaso (Cfr. La Bibbia di Gerusalemme, VI Edizione, luglio 1985, 2314, nota 20,16), allorché, nella domenica di Pasqua, di fronte a Gesù Risorto, esploderà la sua gioia, dicendo «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).
E Gesù a lui: “Và, la tua fede ti ha salvato”. L'uomo può vedere e finalmente può mirare il suo Salvatore. Ai suoi occhi, non più spenti ma vivi, appare il volto misericordioso del suo liberatore. E può finalmente mirare il verde delle Palme, i colori variopinti dei frutti esotici offerti in abbondanza dall’assolata e verdeggiante oasi di Gerico, le case bianche della sua città, l'azzurro terso del cielo di Giudea. È la vita che sorride a chi era vissuto sempre e solo nel buio di quegli occhi spenti. E, come la fede di Bartimeo è la molla per ottenere da Gesù il miracolo della luce degli occhi, così la fede viva di ogni cristiano, deve essere luce che illumina il cammino anche nell'oscurità del dolore e dell'angoscia.

Gridiamogli senza timore: “Signore che io veda! Signore che io cammini, Signore che io oda, Signore che io sia guarito”.
È importante, però, avere fede in Lui, fiducia ed abbandono sulla Sua Parola e sul Suo Amore che non viene meno, e, quindi, speranza che con Lui non possiamo temere alcun male.
Sarà importante, però, fare come Bartimeo che ha gettato via il suo mantello per correre subito da Gesù. Anche noi dobbiamo gettare via il mantello che appesantisce il nostro correre verso Colui che, più che figlio di Davide, è il Figlio di Dio e Dio stesso, incarnato per noi. Rinunciare alla nostra zavorra, al nostro fardello, quello che ci teniamo sempre addosso, come il mantello di Bartimeo, per accorrere tra le braccia amorevoli e misericordiose di quel Dio che, per amore, si è fatto uomo per noi, e che, per noi, accoglierà finanche la passione e la morte, lasciandoci cogliere il significato che c'è dietro ogni sofferenza, ogni croce, ogni dolore, e finanche dietro la stessa morte. E allora la nostra cecità di fronte al male, diventerà luce. Anzi sarà abbagliata dalla luce di Cristo Gesù, e capiremo, finalmente, che non siamo soli di fronte al male, al dolore, ed alla morte; ma Lui è con noi e sarà capace di mutare lo stesso male in Bene. Ma in un Bene che è pace, gioia, amore. Per tutta l’eternità.