Emozioninrete.com
  • Prima Pagina
  • Notizie
  • Reportage
  • Format
    • Vox Populi
    • Frammenti video
    • Maciniamo Km
    • Giallorossi tra ricordi ed emozioni
    • Ricordi di un GialloRUSSO
    • Medicinrete
    • Il lato B di...
    • L'Amore vince sempre
  • Intrattenimento

Il Vangelo di Domenica 28 febbraio. A cura di Donato Calabrese

27/2/2016

0 Commenti

 
Immagine

III DOMENICA DI QUARESIMA
(Lc 13,1-9)

“In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.
   Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». 
   Disse anche questa parabola:  «Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai»
Al tempo di Gesù è molto diffuso, nel popolo di Israele, il principio della retribuzione: se io faccio del bene, sono ricompensato, su questa terra, per il bene che faccio; se faccio del male, la mia vita terrena sarà conseguenza di questo male. Anche nell’Italia di oggi c’è chi la pensa allo stesso modo, per cui non capita di rado di sentire queste affermazioni: “Se alla tale persona è capitato questo guaio, vuol dire che se l’è meritato”. Oppure, molto più frequentemente, di fronte alle difficoltà della vita, arriviamo a dire: “Perché capita tutto a me?”, oppure: “Che male ho fatto per avere queste pene?”, oppure: “Io non faccio male a nessuno. Perché tutto capita a me?”.
Immagine
Ora vediamo in che modo Gesù intende correggere questo pensiero. Un tremendo fatto di sangue gli viene riferito, da alcuni: ordinando di uccidere alcuni Galilei che stavano offrendo i loro sacrifici, il prefetto della Giudea, Ponzio Pilato, ha provocato una strage nel tempio di Gerusalemme. Non si sa cosa ci sia dietro questo bagno di sangue, ma è probabile che Pilato fosse convinto che tali Galilei, quindi dei conterranei di Gesù, costituissero una minaccia per l’ordine pubblico, ordinando, quindi, ai soldati romani di entrare nel Tempio e di ucciderli (Cfr. Gerd Theissen, Annette Merz, Il Gesù storico, Ed. Queriniana, 1999, 220.).
Il Rabbi di Galilea prende lo spunto da questo fatto sanguinoso, oltre che da un grave incidente come la caduta della torre di Siloe con la morte di diciotto persone, per dare degli insegnamenti che vanno oltre la cronaca del tempo, e raggiungere una portata definitiva ed universale. Partendo dalla strage nel tempio, voluta da Pilato, Gesù accenna anche ad un altro incidente avvenuto a Gerusalemme: la caduta della torre di Siloe  su diciotto persone che stavano nei pressi o all’interno.
Secondo il pensiero comune del popolo ebraico, queste disgrazie sono considerate alla stregua di un castigo di Dio. Ma Gesù rivede radicalmente tale giudizio, lasciando capire che non c’è relazione diretta tra calamità e colpa. Piuttosto ogni dramma, ogni situazione di grande sofferenza, dovrebbe indurre ad una maggiore riflessione sul senso della vita umana, riconducendo tutto al progetto di salvezza dell’uomo, da parte di Dio, ed alla risposta dell’uomo a tale proposta.
Gesù dice: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?”.
Chiarito, quindi, che le sventure e le avversità non sono un castigo di Dio per i peccati degli uomini, Gesù afferma che la stessa morte fisica dell'uomo non è un problema di fronte alla morte dello Spirito, che è la rottura del rapporto con Dio. Ecco perché dice esplicitamente: “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

Immagine
Il termine greco metanoête  significa ravvedersi, cambiare idea. Molto probabilmente, dietro questo termine c’è un originale aramaico che significa “tornare indietro, ritornare” (Cfr. James D.G. Dunn, Gli albori del cristianesimo,La memoria di Gesù, 2 La missione di Gesù, Ed. Paideia, 2006, 539.).  Quindi, in linea con il pensiero profetico, ed in modo particolare con i profeti Osea (Cfr Os 14,3) e Gioele (Gl 2,13), per Gesù tornare indietro è ritornare al Signore, lacerando il cuore e non le vesti. Un vero pentimento deve partire dal cuore, per raggiungere tutta la persona.
Gesù richiama, i suoi ascoltatori, ad una conversione che riguarda ognuno, affinché cambi radicalmente i modi e la direzione di tutta la sua vita: nelle motivazioni, negli atteggiamenti e negli obiettivi fondamentali. Ma, nello stesso tempo implica tutta la società, affinché riformi, radicalmente, i suoi fini e valori comunitari, come scrive James D.G. Dunn.
Con l’insegnamento della splendida parabola del figliuol prodigo o figlio ritrovato, Gesù ci darà, in seguito, la migliore illustrazione possibile di questo tipo di ravvedimento e di conversione.
L'invito alla Conversione, che echeggia fortemente in questo cammino di Quaresima, ci deve spingere, cari amici, a  vivere in un modo nuovo il nostro essere cristiani e la nostra vita. Altrimenti, restiamo sempre gli stessi, fossilizzandoci nella nostra dimensione umana, senza alcuna tensione etica verso il Bene assoluto, che è Dio.
Nell’idea originale di Gesù, convertirci, cioè “tornare indietro, ritornare”, significa, infatti, dare una bella scossa all'uomo vecchio che è in noi, per guardare in avanti, verso l’uomo nuovo, l’uomo perfetto, ricreato dallo Spirito di Cristo.
Per ora Gesù ci invita con la Sua Parola, a convertirci. Con la Pasqua di risurrezione, Egli lo farà col Dono dello Spirito.

Immagine
Infatti, poiché Shavu'òt, cioè Pentecoste, è celebrata dal popolo di Israele come la Festa del “Dono della Legge”, intesa come parola e rivelazione di Dio a Mosè sul Sinai, la Pentecoste cristiana, che prosegue quella ebraica, sarà vista come il Dono della Legge elargito direttamente nel cuore dei discepoli di Cristo, mediante l’effusione di quello Spirito Consolatore che porrà la Legge stessa, cioè la Sua Divina essenza che è l’amore di Dio, nel Cuore dell’uomo. In tal modo, l’uomo che si pone in atteggiamento di autentico e biblico ascolto di Cristo, non può non mettere in pratica la Sua Parola e le Sue Divine esortazioni a ravvedersi, a tornare indietro, a cambiare vita, ad essere Beato, perché “Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere”, come ascoltiamo nel primo salmo della Bibbia (Sal 1,3).
Rinnovarci, e soprattutto col cuore per pienamente la nostra dimensione umana, essere veramente noi stessi, cioè portare frutto. Ecco, portare frutto, non come il fico della parabola del fico sterile, narrata da Gesù, e che abbiamo ascoltato nella seconda parte del vangelo: Nella storia di Ahiqar (attestata già nel secolo V a.C.), si dice: “Figlio mio, tu sei come un albero che non dava frutto, benché sorgesse vicino all’acqua, e il suo padrone fu costretto ad abbatterlo. Ed esso gli disse: «Trapiantami, e se nemmeno allora io darò frutti, abbattimi». Ma il suo padrone gli disse: «Quando stavi presso all’acqua, tu non hai dato frutto, come vuoi darne stando in un altro posto?» (Citato da Joachim Jeremias, Le parabole di Gesù, Ed. Paideia Brescia, 1973, 209s...).
Gesù utilizza questo racconto popolare, diffuso in varie versioni (Un’altra versione è quella citata da Gerd Theissen, Annette Merz, Il Gesù storico, Ed. Queriniana, 1999, 414.), e di cui sicuramente è a conoscenza, apportando un suo personale cambiamento alla conclusione: “Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.  Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?”. 

Immagine
Non si può non vedere la presenza stessa di Gesù nella figura paziente del vignaiolo che al Padrone della Vigna, nel quale è adombrata la figura del Padre Celeste, risponde: “Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai”. 
In fondo se per Gesù, quella dell'albero di Fico che non porta frutto, è immagine del popolo di Israele che per tre anni - i tre anni della parabola possono alludere alla durata del ministero di Gesù, come risulta dal quarto vangelo – non ha saputo accogliere il Cristo arrivando a rifiutarlo, nelle generazioni successive, e quindi giungendo fino a noi, la parabola del fico infruttifero diviene espressione plastica di quella che può essere la nostra vita senza frutto, senza apertura agli altri, senza disponibilità verso i problemi del prossimo. Ciò avviene perché siamo lontani dall’acqua viva, che è Cristo. E questa lontananza ci può condurre lontano, molto lontano da Lui, dove sarà più facile sperperare il bene ed i beni che abbiamo in noi, vivendo da dissoluti, chiusi in noi stessi, nei nostri interessi personali, oltre che nella nostra indifferenza verso gli altri. Siamo come quel fico che vive per sé stesso e non per gli altri ed è destinato ad essere tagliato e bruciato.
Ma abbiamo sempre tempo per “tornare indietro”, per porre le nostre radici nell’acqua viva che è Cristo Gesù. In tal caso dobbiamo dire a Gesù: Signore, Dammi da bere la tua acqua!  Si, Signore, Tu sei l’acqua viva, ed io bevendo di quest’acqua, sono sicuro di non allontanarmi mai da Te, perché questo fiume d'acqua viva scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello (Cfr. Ap 22,1).
Perciò, insieme col salmista, voglio bere anche io a quest’acqua viva e pura, dicendo: “Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?”(Sal 41,2-3
).

0 Commenti



Lascia una risposta.

    Feed RSS

    Foto

    Categorie

    Tutto
    Commento Al Vangelo
    Vivere La Speranza


    I nostri format

    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto


    Immagine

    Immagine

    Link consigliati
    Foto
    Foto

    Archivio

    Gennaio 2019
    Dicembre 2018
    Novembre 2018
    Ottobre 2018
    Settembre 2018
    Agosto 2018
    Luglio 2018
    Giugno 2018
    Maggio 2018
    Aprile 2018
    Marzo 2018
    Febbraio 2018
    Gennaio 2018
    Dicembre 2017
    Novembre 2017
    Ottobre 2017
    Settembre 2017
    Agosto 2017
    Luglio 2017
    Giugno 2017
    Maggio 2017
    Aprile 2017
    Marzo 2017
    Febbraio 2017
    Gennaio 2017
    Dicembre 2016
    Novembre 2016
    Ottobre 2016
    Settembre 2016
    Agosto 2016
    Luglio 2016
    Giugno 2016
    Maggio 2016
    Aprile 2016
    Marzo 2016
    Febbraio 2016
    Gennaio 2016
    Dicembre 2015
    Novembre 2015
    Ottobre 2015
    Settembre 2015
    Agosto 2015
    Luglio 2015

Per contatti:
info@emozioninrete.com
cell. 388 9971785
Immagine