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Il Vangelo di Domenica 25 giugno. A cura di Donato Calabrese

23/6/2017

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XII^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Mt 10,26-33)

Non li temete dunque, poiché non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! 
Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
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Nel brano evangelico di questa domenica Gesù parla delle persecuzioni che accompagneranno sempre la via di un autentico apostolato. Mai termine è più indicato, di questo, come riferimento all’opera degli apostoli, segnata dalla consapevolezza di annunciare l’unico vero Dio e Signore della Storia, e per questo predestinata ad incontrare l’opera malefica del principe della menzogna.
Gesù indica, ai suoi apostoli, un futuro non segnato dalla gloria e dagli onori, ma contrassegnato, invece, dalla sofferenza e dalle ostilità conseguenti all’annuncio. Tuttavia, la sua Divina Presenza ed il suo conforto, non verranno mai meno, nel cammino duro e aspro che attende la Comunità apostolica.
“Non li temete dunque - dice Gesù - poiché non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato”. Queste parole che sembrano enigmatiche, si riferiscono all’annuncio del Regno dei Cieli. Un annuncio che va fatto integralmente, chiaramente, limpidamente, senza timore di andare incontro a incomprensioni ed ostilità. Gesù vuole che il Regno di Dio sia annunciato. Senza preamboli, senza sottili discussioni, senza compromessi con chi ascolta. Tutto deve essere rivelato.
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I suoi discepoli hanno il dovere di svelare quello che è nascosto. Hanno il diritto-dovere di annunciare ciò che è segreto: il Segreto del Re, l’annuncio del Regno. Anzi, il Vangelo del Regno. E, vista l’urgenza di questo annuncio, i suoi apostoli, i suoi inviati, non possono più tacere,  ma devono irradiare a tutto il mondo questo annuncio di salvezza. Ed i destinatari privilegiati di questo annuncio sono proprio loro, i poveri in spirito, come li chiama Matteo; i poveri semplicemente, come invece li chiama Luca. Lo sfondo è lo stesso: gli anawim, i curvati, gli umiliati, la gente semplice di Israele, e poi il mondo intero che attende con ansia la voce del Liberatore definitivo.
“Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna”. 
È chiaro l’invito di Gesù a non temere le inevitabili conseguenze dell’annuncio del Regno. Egli invita a temere piuttosto il nemico invisibile, quello che può far perire nella Geenna, che è l’immagine dell’inferno.
“Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.  Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”.

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Sembrano dure queste ultime parole di Gesù. Tanto dure. Ma non è così. Esse si riferiscono a tutti coloro che non riconosceranno l’evidenza del suo messaggio. In compenso sono precedute dalle altre espressioni che indicano la provvidenza e tenerezza di Dio verso tutti, ma specialmente verso il popolo toccato da ogni tipo di prova e di difficoltà, specialmente a chi è profondamente segnato dal dolore fisico o morale. Quel Padre Celeste che non abbandona due semplici passeri, non può abbandonare gli uomini che accettano il suo desiderio di amarli. Perfino i capelli del capo sono contati. Questo vuol dire che Dio conosce tutto di noi. E conoscendo tutto, anche ciò che è più intimo, ci ama come il Padre, o la madre che conosce tutto dei figli. L’amore è un effetto della conoscenza.  Questa, porta all’amore.
Il brano si chiude con una sentenza in forma di parallelismo antitetico, caratteristico del parlare di Gesù e che rimanda al quadro finale del Giudizio.
Per noi cristiani non rimane via di scelta. Se abbiamo scelto Cristo, dobbiamo sentirci in dovere di portare fino in fondo il suo messaggio. Anche a costo della nostra stessa vita.
In conclusione, da tutto l’insieme di questo brano possiamo cogliere un dato di fondo: il desiderio di Gesù che il discepolo sia totalmente coinvolto nella sua avventura umano-divina, sia nel bene che nella sofferenza.
Dal Vangelo appare evidente che gli apostoli e tutti i discepoli non hanno mai considerato Gesù solo come un Maestro; ma anche Signore con la esse maiuscola, cioè come padrone, dominatore, re che dispone totalmente di loro come dei servi. Ma essere al suo servizio implica ben altro che non essere dei semplici servi: vuol dire condividere il suo progetto di salvezza e lasciare che il proprio nome sia scritto a grandi lettere lassù nel cielo.
Ognuno di noi deve sentire questa grande dignità. E non solo: ognuno di noi deve guardare, come apostolo, come inviato di Dio – perché siamo tutti responsabili dell’annuncio del Regno – non solo alla dignità che comporta questa partecipazione all’annuncio, figlia del nostro battesimo e quindi del nostro essere Figli di Dio, ma anche all’aspetto profetico del nostro annuncio. Quindi, essere pronti anche all’effusione del sangue. Fino al martirio. E non c’è prova più alta e sublime di questa per esprimere il nostro amore al Dio Trinitario, rivelatoci attraverso il più bello tra i figli dell’uomo.
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