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Il Vangelo di Domenica 24 aprile. A cura di Donato Calabrese

24/4/2016

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V DOMENICA DI PASQUA
(Gv 13,31-33.34-35)

Quand'egli fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri»
Il brano evangelico di Giovanni inserito nella liturgia di questa quinta domenica di Pasqua è breve ma profondamente significativo per il fatto che fa riferimento alle ore immediatamente precedenti l'arresto di Gesù Cristo e quindi appartiene ai suoi ultimi discorsi, prima dell’arresto e della passione e morte.
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Abbiamo visto che nella prima parte di questo brano, Gesù ha detto: “Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito”. Questo tema della “Glorificazione” appartiene alla terminologia del quarto Vangelo, detto di Giovanni, il quale, particolare non certo trascurabile, esplora più in profondità, rispetto agli altri testi evangelici, il Mistero della Persona di Cristo, percependone particolarmente la Gloria Divina, e questo, perfino nelle ore della sua Passione. Anzi, proprio queste ore, anticipate dal discorso che Gesù fa ai suoi amici, esprimono, per Giovanni, il tempo decisivo della Glorificazione del Figlio, della sua Esaltazione, del suo innalzamento sulla croce. Ma proseguiamo la riflessione su questo breve, ma eloquente, testo evangelico. Gesù dice: “Figlioli, ancora per poco sono con voi. Il termine “Figlioli” o “Figli miei” è frequente nella letteratura rabbinica, specialmente quando il Rabbi, cioè il Maestro, interpella i suoi discepoli (Cfr. Klaus Wengst, Il Vangelo di Giovanni, Ed. Queriniana, 2005, 547).

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Dopo questo appellativo confidenziale, Gesù dà un messaggio che riassume tutti quelli precedenti. Un pensiero che compendia il suo mirabile insegnamento ed apre uno squarcio di luce sul Mistero di Dio, e quindi, su quello dell'uomo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”.
È il comandamento supremo dell'amore-Agape, che ogni cristiano, e direi ogni uomo, è chiamato a vivere dentro di sé ed attorno a sé. È il comandamento dell'Amore vicendevole, già presente nell'Antico Testamento, tanto  è vero che nel libro del Levitico troviamo scritto: “amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18).
Allora, qual è l'originalità del comandamento nuovo, secondo le parole di Gesù?
È un comandamento nuovo “per la perfezione a cui Gesù lo porta, e perché costituisce il segno distintivo dei tempi nuovi, inaugurati e rivelati attraverso la morte di Gesù” (La Bibbia Gerusalemme, VI Edizione, luglio 1985, pag.2301, Nota ai versetti 13,34.).  
Quindi, per dirla in maniera più semplice, se nell'Antica Legge la misura dell'amore verso gli altri era considerata l’amore verso sé stessi, ora, con questo nuovo comandamento, Gesù ci invita, ci esorta, anzi esige da noi, lo stesso Amore con cui Egli ci ha amato, amandoci fino alla morte.

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Il corrispondente termine greco di “amatevi” è agapate (¢gap©te.). Significa  amare, amare con stima, amare profondamente, amare non nel senso egoistico dell’amore eros, ma nel senso altruistico e disinteressato dell’amore gratuito e oblativo. Quindi è la forma più alta dell’amore. È il termine più vicino al sentimento di amore che Gesù nutre per i suoi discepoli, e quindi per noi.
Perciò, Gesù ci dice di amarci a vicenda con lo stesso Amore Agape con cui ci ha amati. È difficile, ma non impossibile. Tantissimi Santi hanno dimostrato che questa suprema Legge dell'Amore può essere incarnata nella nostra Vita. Uno per tutti, molto vicino a noi, è Il mio grande conterraneo e Padre spirituale: Padre Pio da Pietrelcina.  Sentite con quali sentimenti egli scrive, il 20 novembre del 1921, a padre Benedetto da san Marco in Lamis, suo direttore spirituale: “Sono divorato dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo”. Così esorta, Padre Pio, le sorelle Campanile di San Giovanni Rotondo, sue figlie spirituali: “L'anima che ha scelto il divino amore  non può rimanersene egoista nel Cuore di Gesù, ma si sente ardere anche della carità  verso i fratelli, che spesso fa spasimare l'anima”.

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Come non pensare a Madre Teresa di Calcutta, l'umile, piccola, gracile suora  che ha dato tutta la sua vita per i più poveri, gli abbandonati, i diseredati di Calcutta: “Dio ci ha creati per qualcosa di immensamente grande: per amare ed essere amati”. Questo suo pensiero è stato, per madre Teresa, un programma di vita autenticamente cristiana. 
“Amatevi tra di voi, come io vi ho amato”. In queste parole di Gesù trova la sua significazione tutto il Creato, tutta l'esistenza umana, tutto il nostro essere, la nostra Vita, il Progetto Eterno di Dio su ognuno di noi. Lo scopo stesso del nostro esistere.
Come ebbe a dire, su questo tema, il Papa Giovanni Paolo II, “La passione e la morte costituiscono il fondamentale servizio d'amore con cui il Figlio di Dio ha liberato l'umanità dal peccato. Al tempo stesso la passione e la morte di Cristo svelano il senso profondo del nuovo comandamento da Lui affidato agli Apostoli: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)”.
“Amatevi tra di voi, come io vi ho amato”. In queste parole trova la sua giustificazione la priorità etica del Cristianesimo rispetto alle altre religioni. Mai nessuno, dico nessuno, ha saputo dire cose più straordinarie, più sublimi, più invitanti ad amare, come ha fatto Gesù di Nazareth, il Cristo, il Figlio di Dio Prediletto.

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