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Il Vangelo di Domenica 22 ottobre. A cura di Donato Calabrese

19/10/2017

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DOMENICA XXIX DEL TEMPO ORDINARIO
(Matteo 22,15-21)

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: E` lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose:  «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro:  «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
“E` lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. È significativo che siano i farisei e gli Erodiani, il partito che raccoglie i sostenitori del tetrarca di Galilea Erode Antipa, a formulare questa subdola domanda  a Gesù. Infatti, in precedenza, cioè prima che Roma avocasse direttamente a sé la riscossione delle imposte, i vassalli della famiglia Erodiana si erano conquistati le grazie dell'amministrazione romana, essendo riusciti a risolvere il problema esplosivo dell'esazione fiscale.
Il fatto che fossero loro a riscuotere le tasse, per versare poi un tributo ai Romani, evitava ai Giudei di pagare tributi direttamente a Roma, cosa inammissibile per il loro animo di popolo teocratico, cioè appartenente dal Dio della rivelazione biblica. In questo senso, al tempo di Gesù, gli Erodiani nutrono un interesse nascosto, basato su motivi radical-teocratici (Cfr. Gerd Theissen, Annette Merz, Il Gesù storico, Ed. Queriniana, 1999. 184), nel favorire il rifiuto di pagare le tasse a Roma. Ecco perché sono appunto essi, insieme ai farisei, a voler provocare la risposta di Gesù per un ritorno alla riscossione delle tasse tramite l'amministrazione di Erode. 
Anche i farisei sono contrari alla riscossione diretta delle tasse da parte di Roma, condividendo l’idea teocratica di Giuda il Galileo, il quale, qualche decennio prima, aveva visto nel versamento di imposte all'imperatore un'infrazione al primo comandamento: “Non avrai altro Dio fuor che me” (Cfr. Gerd Theissen, Annette Merz, Il Gesù storico, Ed. Queriniana, 1999. 292). Giuda il Galileo è considerato il fondatore della setta degli Zeloti e, negli anni 6 e 7 d.C., ha guidato due rivolte ebraiche contro l’impero romano.  Proprio l’ultima rivolta, avvenuta nel 7 d.C., era stata provocata dal censimento che il governatore della Siria, Publio Sulpicio Quirinio, aveva organizzato per consentire l’esazione delle imposte in questo territorio. Ed è questo, quasi sicuramente, il censimento ricordato nel vangelo di Luca a proposito del viaggio a Betlemme di Giuseppe e Maria.
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Dal brano evangelico che abbiamo ascoltato, si può comprendere che, al tempo di Gesù, il dilemma della riscossione diretta delle tasse da parte di Roma, tocca ancora profondamente la sensibilità religiosa del popolo della Promessa. Ecco perché, animati dal  subdolo intento di  coinvolgere in tale tormentata questione politico-religiosa il Maestro di Galilea, i farisei e gli Erodiani formulano una domanda insidiosa per sapere il suo giudizio in materia, e, soprattutto, per metterlo in gravi difficoltà di fronte al popolo o all’autorità Romana. “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. I discepoli dei farisei e i membri del partito di Erode pongono questa domanda chiaramente insidiosa a Gesù, di modo che, in qualsiasi modo risponda, non ne esce indenne. Qualunque sia la risposta, essa lo porrà in pessima luce, rispetto al popolo, oppure nei riguardi del Potere romano. Ecco perché Gesù, conoscendo la loro malizia, dice subito loro “Ipocriti, perché mi tentate?”. Poi, chiede loro: “Mostratemi la moneta del tributo”.
Dopo che gli hanno presentato un denaro, Gesù dice: “Di chi è questa immagine e l'iscrizione?”. Gli rispondono: “Di Cesare”. Allora Gesù dice loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. 
Se ci avete fatto caso, avrete senza altro notato che ai suoi interlocutori che hanno chiesto se è giusto: “dare” il tributo a Cesare, Gesù ha risposto utilizzando il verbo rendere al posto del dare: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.  Quindi Gesù non ha detto: “Date a Cesare quel che è di Cesare”, ma “Rendete a Cesare, cioè restituite a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.  È questo il senso della parola greca “apódote” riportata nel testo originale di Matteo. Il verbo greco, che tradotto in italiano significa “rendere” o “restituire”, può significare che essendo ogni autorità, anche quella imperiale, permessa da Dio, pagare le imposte vuol dire anche obbedire a Dio. 
La conferma di questa interpretazione la troviamo sicuramente nell’epistola che alcuni  anni dopo l’apostolo Paolo scriverà ai cristiani di Roma utilizzando lo stesso verbo “rendere”, ed affermando solennemente: “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio” (Rm 13,1-2). “Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto. Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge” (Rm 13,6-8).

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Tornando alla questione del tributo, è lecito pensare che ciò che sta veramente a cuore a Gesù è la priorità di Dio. Lui, insomma, non predica tanto la legittimità morale del potere politico quanto il carattere assoluto dei diritti di Dio. D’altro lato è importante porre l'accento sul fatto che nei sentimenti di Gesù ci sia una tensione tra l’autorità divina e quella imperiale. Tra Dio e Mammona  non possono esserci compromessi. È Lui stesso a dirlo, in altro contesto, che non è possibile servire contemporaneamente a due padroni (Cfr. Mt 6,24; Lc 16,13). “Non c’è dubbio, però, che in questo modo la risposta di Gesù superi anche i limiti del contesto storico del tempo in cui sta predicando, per assumervi quel significato più vasto che vi hanno visto gli evangelisti e la Chiesa antica. La risposta di Gesù pone fine ad ogni forma di teocrazia, sia giudaica sia pagana. Da un lato, infatti, distinguendo il problema del pagamento del tributo a Cesare da quello della fedeltà di Israele a Dio, Gesù ha escluso dalla sfera religiosa il potere imperiale romano, per cui pagare il tributo non è un atto di idolatria, perché quello che si dà all’imperatore con questo tributo, è il rispetto e non il culto; la moneta e non l’uomo”(Tertulliano). Dall’altro lato, separando la venuta del Regno di Dio dalla restituzione della libertà a Israele, Gesù ha «spiritualizzato» la sovranità di Dio, liberandola da ogni correlazione con le speranze politiche del popolo ebraico. L’avvento del Regno di Dio, annunciato, è ben altra cosa rispetto alle aspirazioni politiche del popolo di Israele (Per tutto questo: Cfr. Giorgio Jossa, «Rendete a Cesare quello che è di Cesare», in Storia di Gesù, Ed. Rizzoli, 1984, volume quarto, 1984, 1431).
Spesso nella nostra vita ci troviamo di fronte ad un bivio, un dubbio, una scelta da fare. Da una parte quel Bene che portiamo profondamente nel nostro cuore e che ci riallaccia a Gesù stesso, ricordandoci che in tutto quello che facciamo, abbiamo la coscienza che ci ricorda che “il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo” (Dt 6,4), e non ve ne sono altri, al di fuori di Lui. Dall’altra, l’etica personalizzata che è molto diffusa nel mondo di oggi, tendente al proprio bene ed interesse personale, che relativizza anche ciò che è inteso come Valore inalienabile della Civiltà cristiana e lo stesso Bene comune, rendendolo, invece, valore alienabile e bene alienabile, interpretabile e modificabile secondo i propri interessi personali.

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Per dirla con parole semplici, mi basta ricordare che certi valori assoluti, sia come Legge naturale che come insegnamento evangelico, sono messi in discussione da un modo di pensare molto diffuso nella Società di oggi. Mi riferisco innanzitutto al matrimonio, alla famiglia, ecc... Prima questi erano valori assoluti, suffragati da quei principi cristiani che hanno forgiato per quasi due millenni la nostra gente. Adesso non lo sono più, perlomeno secondo alcuni.
La vita umana è messa in discussione imponendo addirittura leggi ingiuste come l’aborto, e l’eutanasia. Il matrimonio è ormai messo fortemente in discussione: quante coppie si uniscono consumando le loro unioni al di fuori della santità del sacramento. Si parla di unioni di fatto. “Basta volersi bene” dicono alcuni, nella loro ipocrita affermazione, ben sapendo che dopo è più facile separarsi, alla faccia dei figli che verranno e che dovranno soffrire profondamente per le divisioni dei propri cari. Per non parlare di persone dello stesso sesso che vivono insieme, ed addirittura chiedono un pari trattamento con le coppie naturali.
Di fronte a queste situazioni innaturali e contrarie alla Verità di Dio, non ci resta, come cristiani, che fare la nostra parte. No al divorzio! Dio mio, quante famiglie sfasciate da un uomo ed una donna che lasciano i rispettivi consorti per mettersi insieme. No all’aborto! Dio mio, quanti omicidi si commettono negli ospedali! No all’eutanasia che è la condanna a morte di un essere umano ritenuto inutile, perché, “ipocrisia di tutte le ipocrisie” gli si vuole risparmiare la sofferenza. No ad una politica legata all’utile, e al denaro. Sì a una nuova classe politica radicata nei valori etici e morali della nostra fede.
Scegliere sempre Dio prima di tutto,  non vuol dire essere schiavi di principi morali e cristiani, ma essere liberi di scegliere sempre il Bene assoluto che è Dio, ed in forza di questa scelta fondamentale della nostra vita, noi saremo cittadini che sapranno amare ed onorare le stesse istituzioni che ci governano, anche, se a volte, compiono cose moralmente ingiuste..
Senza Dio non si va da nessuna parte. Con Dio ed il Suo Regno che cresce e si sviluppa dentro di noi, possiamo essere cellule vitali e feconde di una Società viva, cristiana, civile, fortemente ancorata ai valori inalienabili del Vangelo. Una Società nella quale le stesse istituzioni troveranno maggiore spazio per operare le scelte di quel Bene comune che tutti siamo chiamati a costruire. 

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