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Il Vangelo di Domenica 20 novembre. A cura di Donato Calabrese

18/11/2016

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XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
(Luca 23,35-43)

Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 
C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». 
Gli rispose:  «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
Situando la solennità di Cristo Re a chiusura dell’anno liturgico, la Chiesa pone quasi un sigillo finale al percorso di conoscenza e di feconda comunione con Lui, ponendo l’accento sulla Signoria di Cristo nella Storia umana. Una regalità che tuttavia appare molto diversa da quella fallace dei re della terra.
Il testo evangelico di Luca descrive l’epilogo della passione di Gesù nella cornice storico-geografica della cosiddetta città santa, Gerusalemme. Al di là della cornice, però, c’è qualcos’altro che appare nella scena della crocifissione. È un oggetto che non parla, non grida, non accusa e non lamenta. È una tavoletta di legno posta sul capo del Crocifisso, e porta incisa una scritta: “Questi è il re dei Giudei”. Un crocifisso re, un re crocifisso: quale paradosso! Come spiegare un contrasto così evidente? Com’è possibile riconoscere la regalità in un uomo crocifisso e abbandonato da quello che è pur sempre il suo popolo? È il mistero di un Dio che non cessa di stupirci spaccando in due la storia e riempiendola di un incredibile amore per le sue creature.
Sul Calvario si rivela l’immenso mistero d’amore del Padre che “dona” il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Gv 3,16).
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Diversamente dal Vangelo di Marco, dove si avverte tutto il dramma cruento che accompagna la morte di Gesù, Luca non vede, nel crocifisso, il giustiziato, ma il martire divino, mostrando che il Salvatore è morto per noi.
Il testo evangelico di Luca ci permette di soffermare l’attenzione su un dettaglio molto significativo, che talvolta può anche sfuggire alla nostra riflessione. È una tavoletta di legno posta in alto sulla croce, e porta incisa una scritta: “Questi è il re dei Giudei”. 
Quale può essere la verità di un re che è crocifisso, di un crocifisso che è re? È una verità nascosta ai potenti del tempio e dei partiti di Gerusalemme, ma è presente, in un’antica profezia contenuta in quattro celebri “carmi” del libro di Isaia, i quali, benché scritti tanti secoli prima di Cristo, descrivono in maniera sorprendente la figura di un misterioso personaggio: il servo di Jahvè sofferente. È un quadro così aderente e fedele che si direbbe ritratto avendo sotto gli occhi gli avvenimenti della Pasqua di Cristo (Cfr. Giovanni Paolo II, Udienza generale, mercoledì 25 febbraio 1987).   Leggiamo da questo antico testo biblico: “Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is 53,12), così il profeta descrive la missione universale di questo misterioso Personaggio.
Sul Calvario noi credenti identifichiamo il misterioso Servo di Dio sofferente con Gesù Crocifisso. Qui, infatti, lui riceve la sua incoronazione regale, perché, proprio come Servo di Dio sofferente, con il suo sacrificio espia i peccati degli uomini, divenendo capo di una moltitudine di fratelli (Cfr. Mc 3,35; Eb 2,11).

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Quelle braccia distese sul legno della croce lo mostrano disarmato e inerme, di fronte ai suoi aguzzini. Si è immolato ed ha versato il proprio sangue per la vita delle moltitudini, dimostrando chiaramente  che la sua è una regalità diversa da quella degli altri re, come ha ricordato proprio l’evangelista Luca, quando ha riportato queste parole di Gesù: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,25-27). E ancora più esplicitamente, ha detto che Lui “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,28).
Avete notato una sottigliezza: le parole molti e moltitudini sono utilizzate per dimostrare che in Gesù si realizzano le antiche Scritture che contengono i carmi del Servo di Dio sofferente. Infatti, proprio negli antichi testi di un profeta anonimo riconosciuto come secondo Isaia era scritto: “Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is 53,11-12). Ecco la più sublime delle regalità: un Re che dà la vita per il suo popolo.
Quelle braccia distese ed ormai inerti hanno ormai realizzato fino in fondo la mirabile missione del Figlio di Dio incarnato, così bene indicata da Gesù a Nicodemo, sul monte degli ulivi: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). 
“Il «dare» del Padre si è compiuto nel «dare» del Figlio «sino alla fine» (Gv 13,1), ossia fino alla croce” (Cfr. Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Ed. Rizzoli, 2007, 393s..).
Questo dare del Padre e del Figlio, il cui culmine è la croce, non costituisce solo la suprema risposta di Dio agli interrogativi dell’uomo di fronte al dolore, al male ed alla morte, ma esprime mirabilmente l’estrema dimensione dell’Amore di Dio per l’umanità.

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È mirando a quell’uomo disteso su una croce, che ogni altro uomo, ogni anima arata profondamente dal dolore, potrà dare un senso al suo patire; una risposta alle sue domande; una pace al suo cuore ferito. “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26), così risponderà il Risorto ai discepoli sconsolati, in cammino verso Emmaus.
Ecco la vittoria. Ecco la Regalità. Ecco il trionfo. La storia di Cristo crocifisso e morto non termina il venerdì Santo, ma prosegue fino all’alba della domenica di Pasqua, poiché “alla verità della crocifissione è indissolubilmente legata la innegabile verità della risurrezione”, come ebbe a dire il Santo Papa Giovanni Paolo II, il 16 ottobre 1988.
Una regalità che nasce dalla sua solidarietà con l’uomo che è alle prese con i dilemmi fondamentali connessi con la vita umana. Solidarietà con l’uomo peccatore che vuole ricominciare una nuova vita. Solidarietà e condivisione con ogni uomo che di fronte al male ed alla morte si pone le fatidiche domande: Perché?
Sulla croce Gesù esprime un nuovo tipo di regalità: non fondata sulla potenza e sul trionfo. Ma edificata sull’amore offerto, donato, versato.

Una regalità proiettata nella vita oltre la morte, dove tutti noi saremo insieme con Lui. Senza dolori, senza angosce, senza pene. Ma nella gioia, nella pace e nell’amore del Dio Trinitario. E Cristo regnerà finalmente nei nostri cuori. Ma il Suo Regno è già presente nella Storia umana. Già da ora Egli deve regnare nei nostri cuori. Spetta a noi lasciare spazio al Suo Spirito. Morire con Lui per rinascere a nuova vita con Lui, nello Spirito.

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