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Il Vangelo di Domenica 2 agosto. A cura di Donato Calabrese

30/7/2015

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XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Gv 6,24-35)

“Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo».  Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dá  il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dá  la vita al mondo».  Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».  Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”.
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L’evangelista Giovanni proietta la nostra attenzione sulle folle di Galilea, che hanno beneficiato del miracolo della moltiplicazione dei pani. Ma subito dopo ci indirizza verso la stessa Persona che ha operato il miracolo: Gesù di Nazaret. Tutto avviene nei pressi del lago di di Tiberiade, quello che per me è il lago di Gesù.
La prima impressione che proviamo ascoltando questo testo di Giovanni è rappresentata dalla ricerca di Gesù da parte della folla. Questo cercare lui non può non commuoverci, anche se, poi, lo stesso Gesù ci aiuta a capire che tale ricerca è dovuta al fatto che la folla  lo cerca perché si è saziata col suo pane. Infatti, una volta resasi conto che Lui non è più lì, dov’è avvenuto il miracolo dei pani, la gente si imbarca per dirigersi verso Cafarnao, sapendo di trovarlo là. E, una volta trovatolo, gli si fa attorno ponendogli varie domande che l’evangelista sintetizza in quella presente nel vangelo: «Rabbì, quando sei venuto qua?». 
Gesù risponde con un rimprovero preceduto dal doppio Amen, che è una caratteristica del Vangelo di Giovanni: “Amen, amen, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. 


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Il doppio amen è caratteristico del parlare di Gesù, ed è da lui utilizzato per “presentare l’autorevolezza della sua parola e l’importanza di quello che dice”.
Gesù esorta i suoi ascoltatori ad andare oltre il miracolo della moltiplicazione dei pani, nell’autentica comprensione di tale Segno nel quale ha rivelato sé stesso come Datore del cibo che non perisce: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. Gesù vale più del pane che ha moltiplicato per la folla di Galilea.
Nel verbo “vi darà”, presentato al futuro, non si può non riconoscere il dono dell’Eucaristia: la Presenza per antonomasia di Cristo Signore nel Pane e nel vino consacrato secondo le Sue Parole. Tuttavia il riferimento diretto è ancora Gesù, “come oggetto primordiale della fede: è lui, nella sua persona concreta, il «cibo» vero che sazia tutti i desideri dell’uomo, anche quelli che vanno al di là della nostra stessa vita che si consuma giorno per giorno”. Ed a conferma di ciò che dice, Gesù afferma solennemente: “Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. E’ evidente, qui, che Gesù si riferisce al Sigillo dello Spirito ricevuto nel Battesimo, o alla pienezza della divinità, riconosciutagli dal Padre nella teofania del battesimo.

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Allora gli interlocutori di Gesù gli chiedono: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». E Gesù: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».  
Credere, quindi, in Gesù di Nazaret, mangiando non solo “il cibo che perisce”, ma anche quello spirituale del suo insegnamento. Quindi accogliere in pieno Gesù, attraverso la Sua inimitabile Parola che è autenticata dal Sigillo del Padre.
Ma la folla comincia a porre nuovamente degli steccati: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo».  
E allora il Maestro di Galilea dice qualcosa di molto importante, un’affermazione che lo pone ancora più in alto di Mosè, dicendo che non è stato Mosè a dare il pane dal cielo, ma “Il Padre mio vi dá  il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dá  la vita al mondo”.  
Gesù, quindi, identifica il pane con una Persona: la Persona che discende dal cielo e dà la vita al mondo. Chi è questa Persona? Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio Benedetto. E’ Lui che si dona agli uomini. E’ Lui che dona, non la manna, ma il nuovo “Pane dal cielo”, quello che non farà morire, perché viene da Dio Benedetto.

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E quando il popolo, o alcuni del popolo, domandano: “Signore, dacci sempre questo pane”, Gesù rispose rivelando, finalmente, di essere Lui stesso il Pane dal cielo: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”.
Già le parole iniziali di questa espressioni ci riportano all’autorità Divina di Colui che le ha dette. Lette in greco, la lingua originaria dei vangeli in nostro possesso, le parole sono piene di significato. “Egô eimi”, cioè “Io sono”. E’ il nome stesso di Dio rivelato a Mosè e, come ci fa comprendere con evidenza l’evangelista Giovanni, è Dio stesso, presente in Gesù, a donare il “Pane dal cielo”. E’ Dio stesso ad illuminare i credenti sul mirabile contenuto di questo insegnamento nel quale non può essere difficile riconoscere il Pane del Cielo e dal Cielo, nella stessa Persona di Gesù. Gesù è il Pane. E’ la Presenza di Dio in mezzo a noi. Quindi, chi va a Lui non avrà più fame e sete, perché Lui è Tutto. 
E’ chiaro che Lui voglia indicare la Sua Presenza in mezzo a noi non esclusivamente localizzabile nel tempo storico della sua missione nel mondo, quanto, soprattutto, al Suo Essere Presente nel mondo, allo stesso modo in cui è presente tra le folle di Galilea. 
Come non andare oltre i limiti delle parole evangeliche, per percepire il sublime messaggio che il Rabbi di Galilea dona ad ogni uomo che accoglie la Sua Parola, per ricevere, quindi, il Suo Pane di vita!

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Desiderio chiudere questa riflessione con l’insegnamento del compianto Papa Giovanni Paolo II, che, in una sua catechesi tenuta nell’udienza generale di mercoledì 25 ottobre 2000, pose l’accento sulla profonda analogia tra l’alimento della manna ed il Pane vivo promesso da Gesù. “Sarà Cristo stesso a far balenare questo significato spirituale della vicenda dell’Esodo. È lui a farci gustare nell’Eucaristia il duplice sapore di cibo del pellegrino e di cibo della pienezza messianica nell’eternità. Per mutuare un’espressione dedicata alla liturgia sabbatica ebraica, l’Eucaristia è un “assaggio di eternità nel tempo”. Come Cristo è vissuto nella carne permanendo nella gloria di Figlio di Dio, così l’Eucaristia è presenza divina e trascendente, comunione con l’eterno, segno della “compenetrazione tra città terrena e città celeste”. L’Eucaristia, memoriale della Pasqua di Cristo, è di sua natura apportatrice dell’eterno e dell’infinito nella storia umana”.
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