Emozioninrete.com
  • Prima Pagina
  • Notizie
  • Reportage
  • Format
    • Vox Populi
    • Frammenti video
    • Maciniamo Km
    • Giallorossi tra ricordi ed emozioni
    • Ricordi di un GialloRUSSO
    • Medicinrete
    • Il lato B di...
    • L'Amore vince sempre
  • Intrattenimento

Il Vangelo di Domenica 18 novembre. A cura di Donato Calabrese

16/11/2018

0 Commenti

 
Foto

DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO
(Mc 13,24-32)

In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.
Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte.
In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. 
Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
Ogni volta che riascoltiamo il vangelo di questa XXXIII domenica del tempo ordinario, che quest’anno cade Domenica 18 novembre 2018, il pensiero ci conduce subito alle “Cose ultime”, cioè agli ultimi tempi della storia umana.
In realtà, quando Gesù dice queste parole che incutono paura e sgomento, utilizza un linguaggio che appartiene in gran parte al TaNaK  (TaNaK è l’acronimo di Torah, Neviìm, Ketuvìm, ovvero Pentateuco, Profeti ed Agiografi), che è la raccolta dei Testi che formano la Bibbia ebraica e corrisponde sostanzialmente a quella parte della Bibbia  che noi cristiani chiamiamo  Antico Testamento. Perciò, le parole di Gesù sono mutuate dal linguaggio della Bibbia, oltre che della letteratura apocalittica molto in voga nei due secoli a cavallo dell’era cristiana. Tanto per citare alcuni termini, “Dopo quella tribolazione” è un’espressione che fa riferimento alla “grande tribolazione” di cui si parla negli scritti apocalittici e nei testi sacri del vecchio testamento. Lo stesso dicasi della frase “Il sole si oscurerà” (Cfr.Is 13,10; 34,4; Ez 32,7-8; Amos 8,9; Gioele 2,10). “Sono immagini che simboleggiano il giudizio pronunciato da Dio nei confronti di coloro che vengono colpiti da queste calamità” (L. Cioni – B. Pandolfi – M. Cardilli, Signore, che io veda! Itinerario di formazione con il Vangelo secondo Marco, Lectio divina nei Centri di ascolto della parola di Dio, Paoline Editoriale libri, Figlie di San Paolo, 2005, 108s.).
Ma dall’oscurità eromperà una grande luce: “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo”(Mc 13,26-27).
“La venuta del Figlio dell’uomo è il cuore della  profezia. È evidente, in questo caso, il riferimento al libro del profeta Daniele (Cfr. Dn 7,13), nel quale appare il personaggio celeste del Figlio dell’uomo che è condotto davanti al trono dell’Altissimo, ricevendo i poteri divini. Qui, invece, si riferisce a Gesù Cristo che con la sua risurrezione entrerà nella gloria del Padre, come apparirà in seguito, a chiusura di questo stesso Vangelo di Marco, nell’espressione “fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio”(Mc 16,19); e alla fine ritornerà per radunare i suoi Eletti nel Regno che durerà per sempre (Per tutto questo, Cfr. Settimio Cipriani, Illuminati dalla parola, anno B,  Ed. Paoline, seconda edizione 1983, p. 473).
Le nubi presenti sia in questo brano che nella visione di Daniele, indicano la presenza di Dio (Cfr. Es 34,5; Lv 16,2 e Nm 11,25), e la manifestazione della sua potenza e della sua gloria. Anche la  frase successiva, “riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo”, fa riferimento alla promessa fatta a Mosè nel libro del Deuteronomio (Cfr. Dt 30,3-4), che  fa parte dell’Antico Testamento cristiano e del TaNaKh ebraico.
Foto
Al di là del linguaggio apocalittico, il messaggio racchiuso nel brano evangelico di questa domenica è un invito alla speranza.  È una profezia che annuncia già da ora, a pochi giorni dalla sua morte, la vittoria definitiva di Cristo sul male, sul dolore, e sulla stessa morte che lo ghermirà solo per poco tempo, prima di essere vinta, una volta per sempre, da Lui. Una vittoria che sarà suggellata dalla Sua Risurrezione, nella quale io credo di vedere già presente l’immagine, evocata da Gesù, del Figlio dell'uomo che viene sulle nubi con grande potenza e gloria.
Come già detto prima, quello contenuto in questo testo di Marco non è un messaggio che deve incutere timore, ma speranza, come lascia intendere la parabola del fico. È illuminante ciò che scrive, a tal proposito, il biblista Joachim Jeremias: “L’albero verdeggiante del fico è indice della benedizione imminente. Non è dunque con lo sguardo rivolto ai terrori degli ultimi tempi che Gesù ha coniato questa immagine, bensì mirando ai segni annunciatori del tempo di salvezza. Il fico si distingue dagli altri alberi della Palestina, come l’olivo, la quercia, il carrubo, perché esso perde d’inverno il suo fogliame, così da parer morto con quei suoi rami nudi puntati verso il cielo. Ma quando la linfa riprende a circolare, il fenomeno non può passare inosservato: i suoi germogli, quasi un irrompere della vita attraverso la morte – figura del grande mistero della morte e della vita – sono i precursori dell’estate. Anche il Messia, afferma Gesù, ha i suoi segni precursori. Osservateli! Il fico intristito verdeggia, i germogli spuntano, l’inverno è definitivamente trascorso, l’estate è alle porte, il popolo di Dio è richiamato a nuova vita (Cfr. Mt 11,5): ormai ci siamo, sta per iniziare l’ultimo compimento ed il Messia bussa alla porta(Ap 3,20) (Joachim Jeremias, Le parabole di Gesù, Biblioteca di cultura religiosa, Paideia Editrice Brescia, 1973, 147).
C'è una frase sulla quale vogliamo soffermarci.  Gesù dice: “Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.  Come se Egli avesse detto: “Il Padre mio sa quando verrà il giorno della fine, ma io no”.  Una frase  che può lasciare perplessi, quindi. è una espressione che è presente anche nel Vangelo di Matteo (Cfr. Mt 24), e la cui storicità non è messa in dubbio da nessuno, anche se, l'inciso che manifesta l'“ignoranza di Gesù sulla fine del mondo” è stato omesso  da  alcuni manoscritti e risulta corretto per ben due volte sul Codice Maiuscolo più antico, quello Sinaitico che risale al quarto secolo.

Foto
L'affermazione è certamente di Gesù. Come mai, allora, Lui, il Figlio di Dio – come lo proclamiamo noi cristiani - dichiara di non conoscere il tempo della fine e della Parusia: la sua seconda venuta nel mondo?  Una risposta ce la dà il Biblista Giuseppe Segalla: “Il problema è più semplice, se teniamo presente che Gesù era vero uomo, e aveva quindi un intelligenza limitata, anche se perfetta. La limitatezza della sua volontà appare drammaticamente al Getsemani. Dobbiamo evitare - continua Segalla - di cedere alla tentazione di annullare l”umanità vera di Gesù [....]  Gesù è vero uomo e ha quindi una conoscenza limitata del mistero di Dio e del mistero della storia” (Giuseppe Segalla, "Neppure il Figlio lo sa", in Storia di Gesù, Ed. Rizzoli, pag.1524). Jean Guillet, invece, dà un'altra interpretazione a questo  versetto in cui Gesù lascia intendere di non conoscere la fine del mondo. “...non è del tutto inverosimile - egli afferma - che Gesù avverta del destino, che l'aspetta, la generazione alla quale propone il suo messaggio, e affermi che l’ora che sta per suonare non dipende dalla sua decisione ma da quella del Padre”. Tale interpretazione intenderebbe il non conoscere il giorno, né l'ora, nel senso, dal fatto che essi non dipendono da Gesù, ma dal Padre. La decisione è del Padre. Ciò sarebbe coerente con altre affermazioni di Gesù, che troviamo sparse nel Vangelo, come, ad esempio, la sua risposta a Giacomo e Giovanni che chiedono di sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel suo Regno: “Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio”(Mt. 20,23) (Cfr. Mt 11,5).   
Ambedue le ipotesi sono degne di nota. Anche se noi crediamo più verosimile la prima.
“Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Questa frase fa molto discutere gli studiosi e rende un po’ perplessi anche noi che crediamo in Gesù Figlio di Dio.
Io credo che non dobbiamo prenderla per oro colato, anche perché la frase va all’opposto di quanto dice Gesù nel vangelo di Matteo e Luca: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,25-27. Cfr. Lc 10,21-22).
Se il Figlio conosce il Padre, non può non conoscere l’epilogo della storia umana.
A Gesù sta a cuore preparare tutti noi affinché la venuta piena del Regno di Dio ci trovi pronti, vigilanti, come le vergini sagge della celebre parabola. È questo che si aspetta da noi. Intanto, già da ora, Lui vuole comunicarci la Sua Gioia, il Suo Amore, la Sua Pace.
Però, tra la prima venuta storica e la seconda venuta, che sarà nella Parusia, cioè alla fine del mondo attuale, c’è una venuta intermedia di cui ci parla san Bernardo da Chiaravalle. È una venuta dolcissima, mirabile. E ha luogo quando Gesù viene nel nostro cuore, quando noi vogliamo amarlo con tutto il nostro essere, e Lui viene in noi con il Padre, e con lo Spirito.
È la Trinità che viene ad abitare in noi, e si stabilisce questo rapporto di amore divino, ineffabile, tra noi e questo Dio d’amore immenso: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Questa promessa di Gesù comincia a realizzarsi già nel momento del Battesimo. Ma si compie appieno quando noi ci incontriamo con Gesù nella Santa Cena, cioè quando mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue. Quindi, nella Santa messa. Ecco la piena Parusia di Cristo: la sua venuta nei nostri cuori. Quella che non dobbiamo mai stancarci di mirare quando “mangiamo le sue carni Immacolate”, secondo la bellissima espressione di Padre Pio. Quella che ci dona la felicità piena della comunione con quel Dio che è essenzialmente Amore e che ispira amore.

Foto
0 Commenti



Lascia una risposta.

    Feed RSS

    Foto

    Categorie

    Tutto
    Commento Al Vangelo
    Vivere La Speranza


    I nostri format

    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto
    Foto


    Immagine

    Immagine

    Link consigliati
    Foto
    Foto

    Archivio

    Gennaio 2019
    Dicembre 2018
    Novembre 2018
    Ottobre 2018
    Settembre 2018
    Agosto 2018
    Luglio 2018
    Giugno 2018
    Maggio 2018
    Aprile 2018
    Marzo 2018
    Febbraio 2018
    Gennaio 2018
    Dicembre 2017
    Novembre 2017
    Ottobre 2017
    Settembre 2017
    Agosto 2017
    Luglio 2017
    Giugno 2017
    Maggio 2017
    Aprile 2017
    Marzo 2017
    Febbraio 2017
    Gennaio 2017
    Dicembre 2016
    Novembre 2016
    Ottobre 2016
    Settembre 2016
    Agosto 2016
    Luglio 2016
    Giugno 2016
    Maggio 2016
    Aprile 2016
    Marzo 2016
    Febbraio 2016
    Gennaio 2016
    Dicembre 2015
    Novembre 2015
    Ottobre 2015
    Settembre 2015
    Agosto 2015
    Luglio 2015

Per contatti:
info@emozioninrete.com
cell. 388 9971785
Immagine