DOMENICA XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO |
Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
In realtà, quando Gesù dice queste parole che incutono paura e sgomento, utilizza un linguaggio che appartiene in gran parte al TaNaK (TaNaK è l’acronimo di Torah, Neviìm, Ketuvìm, ovvero Pentateuco, Profeti ed Agiografi), che è la raccolta dei Testi che formano la Bibbia ebraica e corrisponde sostanzialmente a quella parte della Bibbia che noi cristiani chiamiamo Antico Testamento. Perciò, le parole di Gesù sono mutuate dal linguaggio della Bibbia, oltre che della letteratura apocalittica molto in voga nei due secoli a cavallo dell’era cristiana. Tanto per citare alcuni termini, “Dopo quella tribolazione” è un’espressione che fa riferimento alla “grande tribolazione” di cui si parla negli scritti apocalittici e nei testi sacri del vecchio testamento. Lo stesso dicasi della frase “Il sole si oscurerà” (Cfr.Is 13,10; 34,4; Ez 32,7-8; Amos 8,9; Gioele 2,10). “Sono immagini che simboleggiano il giudizio pronunciato da Dio nei confronti di coloro che vengono colpiti da queste calamità” (L. Cioni – B. Pandolfi – M. Cardilli, Signore, che io veda! Itinerario di formazione con il Vangelo secondo Marco, Lectio divina nei Centri di ascolto della parola di Dio, Paoline Editoriale libri, Figlie di San Paolo, 2005, 108s.).
Ma dall’oscurità eromperà una grande luce: “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo”(Mc 13,26-27).
“La venuta del Figlio dell’uomo è il cuore della profezia. È evidente, in questo caso, il riferimento al libro del profeta Daniele (Cfr. Dn 7,13), nel quale appare il personaggio celeste del Figlio dell’uomo che è condotto davanti al trono dell’Altissimo, ricevendo i poteri divini. Qui, invece, si riferisce a Gesù Cristo che con la sua risurrezione entrerà nella gloria del Padre, come apparirà in seguito, a chiusura di questo stesso Vangelo di Marco, nell’espressione “fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio”(Mc 16,19); e alla fine ritornerà per radunare i suoi Eletti nel Regno che durerà per sempre (Per tutto questo, Cfr. Settimio Cipriani, Illuminati dalla parola, anno B, Ed. Paoline, seconda edizione 1983, p. 473).
Le nubi presenti sia in questo brano che nella visione di Daniele, indicano la presenza di Dio (Cfr. Es 34,5; Lv 16,2 e Nm 11,25), e la manifestazione della sua potenza e della sua gloria. Anche la frase successiva, “riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo”, fa riferimento alla promessa fatta a Mosè nel libro del Deuteronomio (Cfr. Dt 30,3-4), che fa parte dell’Antico Testamento cristiano e del TaNaKh ebraico.

Come già detto prima, quello contenuto in questo testo di Marco non è un messaggio che deve incutere timore, ma speranza, come lascia intendere la parabola del fico. È illuminante ciò che scrive, a tal proposito, il biblista Joachim Jeremias: “L’albero verdeggiante del fico è indice della benedizione imminente. Non è dunque con lo sguardo rivolto ai terrori degli ultimi tempi che Gesù ha coniato questa immagine, bensì mirando ai segni annunciatori del tempo di salvezza. Il fico si distingue dagli altri alberi della Palestina, come l’olivo, la quercia, il carrubo, perché esso perde d’inverno il suo fogliame, così da parer morto con quei suoi rami nudi puntati verso il cielo. Ma quando la linfa riprende a circolare, il fenomeno non può passare inosservato: i suoi germogli, quasi un irrompere della vita attraverso la morte – figura del grande mistero della morte e della vita – sono i precursori dell’estate. Anche il Messia, afferma Gesù, ha i suoi segni precursori. Osservateli! Il fico intristito verdeggia, i germogli spuntano, l’inverno è definitivamente trascorso, l’estate è alle porte, il popolo di Dio è richiamato a nuova vita (Cfr. Mt 11,5): ormai ci siamo, sta per iniziare l’ultimo compimento ed il Messia bussa alla porta(Ap 3,20) (Joachim Jeremias, Le parabole di Gesù, Biblioteca di cultura religiosa, Paideia Editrice Brescia, 1973, 147).
C'è una frase sulla quale vogliamo soffermarci. Gesù dice: “Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Come se Egli avesse detto: “Il Padre mio sa quando verrà il giorno della fine, ma io no”. Una frase che può lasciare perplessi, quindi. è una espressione che è presente anche nel Vangelo di Matteo (Cfr. Mt 24), e la cui storicità non è messa in dubbio da nessuno, anche se, l'inciso che manifesta l'“ignoranza di Gesù sulla fine del mondo” è stato omesso da alcuni manoscritti e risulta corretto per ben due volte sul Codice Maiuscolo più antico, quello Sinaitico che risale al quarto secolo.

Ambedue le ipotesi sono degne di nota. Anche se noi crediamo più verosimile la prima.
“Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”. Questa frase fa molto discutere gli studiosi e rende un po’ perplessi anche noi che crediamo in Gesù Figlio di Dio.
Io credo che non dobbiamo prenderla per oro colato, anche perché la frase va all’opposto di quanto dice Gesù nel vangelo di Matteo e Luca: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,25-27. Cfr. Lc 10,21-22).
Se il Figlio conosce il Padre, non può non conoscere l’epilogo della storia umana.
A Gesù sta a cuore preparare tutti noi affinché la venuta piena del Regno di Dio ci trovi pronti, vigilanti, come le vergini sagge della celebre parabola. È questo che si aspetta da noi. Intanto, già da ora, Lui vuole comunicarci la Sua Gioia, il Suo Amore, la Sua Pace.
Però, tra la prima venuta storica e la seconda venuta, che sarà nella Parusia, cioè alla fine del mondo attuale, c’è una venuta intermedia di cui ci parla san Bernardo da Chiaravalle. È una venuta dolcissima, mirabile. E ha luogo quando Gesù viene nel nostro cuore, quando noi vogliamo amarlo con tutto il nostro essere, e Lui viene in noi con il Padre, e con lo Spirito.
È la Trinità che viene ad abitare in noi, e si stabilisce questo rapporto di amore divino, ineffabile, tra noi e questo Dio d’amore immenso: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Questa promessa di Gesù comincia a realizzarsi già nel momento del Battesimo. Ma si compie appieno quando noi ci incontriamo con Gesù nella Santa Cena, cioè quando mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue. Quindi, nella Santa messa. Ecco la piena Parusia di Cristo: la sua venuta nei nostri cuori. Quella che non dobbiamo mai stancarci di mirare quando “mangiamo le sue carni Immacolate”, secondo la bellissima espressione di Padre Pio. Quella che ci dona la felicità piena della comunione con quel Dio che è essenzialmente Amore e che ispira amore.