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Il Vangelo di Domenica 18 giugno. A cura di Donato Calabrese

17/6/2017

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DOMENICA DOPO LA SANTISSIMA TRINITÀ
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(Gv 6,51-58)

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno»
Come sapete, queste parole di Gesù, che fanno parte del lungo discorso sul Pane di Vitapronunciato nella sinagoga di Cafarnao, hanno una chiara e profonda correlazione con l’episodio cruciale della Cena di addio, che precede la passione, morte e risurrezione del Signore.
Tale profonda connessione è resa evidente dalla rassomiglianza tra i due episodi della sinagoga e della Cena, la cui autenticità non può essere messa in discussione, perché il suo stile “è così squisitamente giovanneo – come sostiene Joachim Jeremias – che non gliene si può negare la paternità”. Anzi, confrontando il versetto 51 con la prima epistola di Paolo ai cristiani di Corinto, non è  difficile riscontrare una sorprendente analogia tra i due testi e, quindi, riconoscere come questo testo di Giovanni, contenga una tradizione eucaristica: 
Gv 6,51:
ho artos de hon egô dôsô
hê sarx mou estin

huper tês tou kosmou zôês.
1Cor 11,24:
Touto
mou estin to sôma

to huper humôn
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La traduzione ufficiale della CEI, logicamente, non rende molto riconoscibile l’analogia tra i due testi. Infatti in Giovanni troviamo scritto al versetto 51: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno “e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Mentre nella prima lettera ai Corinti, 11,24, è scritto: “Questo è il mio corpo, che è per voi”.
Gesù appare in questo testo come il donatore e, nello stesso tempo come il dono, spostandol’attenzione dei suoi ascoltatori dal pane quotidiano al pane della vita; dal cibo che perisce al cibo che alimenta e sostiene per la vita eterna; dai semplici elementi della manducazione umana alla realtà profonda della Sua Presenza in mezzo agli uomini.
L’evangelista utilizza la parola carne (sarx) al posto di corpo. É il termine col quale accenna all’incarnazione del Verbo di Dio, della sua Parola: il Logos. E’ chiaro che carne e sangue nonindicano due componenti  di Gesù ma tutto il suo corpo: «colui che mangia di me vivrà per me». Da ciò risulta il parallelo carne-corpo dell’espressione: «e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Qui troviamo il riscontro con i vangeli sinottici: (corpo dato per voi…sangue versato per voi).
Gesù si presenta, quindi, come il datore della vita: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno…Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me».  Anche se l’idea della morte è presente, in Giovanni l’Eucaristia assume un carattere più festoso, proiettando già da ora i discepoli di Gesù nella prospettiva della risurrezione.
Nel discorso eucaristico emerge il parallelo Eucaristia-Vita. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». Questa mutua immanenza del discepolo con Cristo e viceversa, indica un’intimità, un’alleanza nuova che assume il senso di alleanza definitiva tra Dio e l’uomo. Un’alleanza che non indica  un semplice patto di amicizia, ma significa molto di più: una comunione di vita che nasce dal riconoscimento, e quindi, dall’accoglienza dell’infinita Bellezza di quel Dio che si è rivelato nell’amore verso l’uomo, e che esige, nel contempo amore dall’uomo.

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Per essere nell’amore, crescere nell’amore e vivere nell’amore, è necessario avere gli stessi sentimenti di Gesù, ed essere come Lui, ovvero fare in modo che Lui viva in noi. Ma per realizzare questa comunione dei cuori con Cristo Gesù, occorre ascoltare la Sua Parola e, soprattutto, mangiare il Suo Pane. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Con queste parole Gesù ribadisce quanto già detto nel lungo discorso eucaristico. Egli si definisce come  “il pane vivo disceso dal cielo", aggiungendo che il suo pane è la sua stessa carne per la vita del mondo. É evidente il riferimento di Gesù alla sua morte di croce, in offerta sacrificale per il mondo intero. É chiara l’allusione al suo corpo offerto in sacrificio, quale espiazione per i peccati del mondo, e il riferimento alla dottrina della sostituzione chiaramente presente in San Paolo nella lettera ai Romani: “Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”.
Io credo, però, che se volessimo fermarci solo all’aspetto redentivo della morte di Cristo, tra l’altro marcatamente presente nell’espressione  “il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo», porremmo degli steccati al contenuto profondo delle Parole di Vita racchiuso nel breve testo evangelico. In realtà, come Gesù stesso promette, indicando il verbo futuro darò, quella carne che sarà immolata sulla croce, non sarà solo un’oblazione pura e santa in espiazione di tutti i peccati e le debolezze umane, con la forza di redenzione e di amore espressa nel suo sublime gesto di donazione, ma in forza della Potenza del Risorto, avrà in sé  la capacità di rendere il credente partecipe dei frutti salvifici della Redenzione, rendendolo, nel suo essere, partecipe della Vita del Risorto. Un’immanenza reciproca che renderà possibile la rivelazione e la comunione con la persona di Cristo. É Lui la Vita.

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Un insegnamento, quello di Gesù, che la liturgia ha inserito in questa Domenica in cui celebriamo solennemente il Corpo e Sangue del Signore, il Sacramento dell’Eucaristia. É uno dei Segni supremi dell’Amore di Dio per noi. Anzi, è il Segno per eccellenza, o meglio, per antonomasia. Basta pensare a questo Segno e al momento in cui Gesù ce lo ha donato, per pensare e contemplare “l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”.
Un Segno che Gesù ci ha lasciato prima della sua Passione e morte sulla croce. Il Segno che quel Giovedì Santo aveva anticipato il segreto della sua risurrezione. E da quel giorno il “Segno” è ancora lì, visibile in tutte le Chiese del mondo, sia che si tratti delle meravigliose cattedrali innalzate dalla Civiltà cristiana europea, sia delle grandi e moderne chiese d’America, d’Australia, dell’Africa e dell’Asia, sia delle miriadi di chiese, chiesine, cappelle che la povertà umana ha innalzato, pur nelle condizioni più povere, all’Emmanuele: il Dio con noi. Ma è lo stesso Gesù, Dio vivo e vero, che abita nelle solenni cattedrali romaniche, bizantine e gotiche d’Europa, le moderne Chiese in cemento del continente americano, e le povere chiesette impastate di paglia e fango dei popoli poveri del terzo mondo. E’ lo stesso Gesù che si presenta a tutti gli uomini, ma particolarmente ai deboli, ai poveri, agli umili, per donare loro la sua stessa vita offerta al Padre, per il Bene delle moltitudini.
L’Eucaristia è il centro della vita cristiana. Non si può parlare di Cristo, Figlio di Dio rivelato, senza considerare  questa sublime Presenza. Non si può amare Cristo, senza amare questo Pane che è il Suo Corpo, non si può essere cristiani, senza mangiare queste “Carni Immacolate”.

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Ma avvicinarsi a Gesù, presente nell’Eucaristia, non significa solo mangiare questo “Corpo adorabile”. Gesù va avvicinato, pregato, bramato, respirato, adorato, ascoltato nel silenzio, sentito nel cuore, imitato, amato. Per farlo voglio proporre alla vostra attenzione un testo a me molto caro: è la preghiera ufficiale di un piccolissimo gruppo di spiritualità eucaristica: il Cenacolo Eucaristico Mariano. Nel proporvi questa orazione intendo umilmente sollecitarvi a cercare Gesù: l’unico Bene che si trova dappertutto; l’unico che potrà consolare, sollevare, fortificare e sanare le nostre anime stanche e frustrate di fronte ai problemi della vita ed al male del mondo. Ecco la preghiera che vi consiglio di leggere davanti a Gesù sacramentato:   “Eccomi Signore, sto qui, alla tua presenza. Con tutto il peso delle mie debolezze, delle mie miserie, dei miei limiti. Ma con l’anelito di sentirmi vicino a Te, mio Signore e mio Dio.
Sono qui   vicino a te con il capo chino e lo spirito abbandonato al tuo Amore. Sono come il bambino che tra le braccia della mamma si lascia cullare dolcemente dalle sue melodie, riposandosi sul suo petto sicuro.
Lo so che tu sei qui, racchiuso in un pezzo di pane. Lo so che tu mi guardi, mi ascolti, mi penetri con il tuo Spirito, mi Ami. Com’è paradossale questo tuo Amore! Quanta delicatezza sconfinata dimora in te! Sei lì ad attendermi, sempre: mattino, giorno, pomeriggio, sera. Anche le ore della notte sei disposto ad ascoltare ed abbeverare d’amore l’anima che da te accorre come la “Cerva che anela a corsi d’acqua”.
Sei qui Signore, ed io ti guardo con gli occhi della fede e ti vedo presente allo stesso modo in cui tu percorrevi le vie della Palestina. Sei lo stesso Gesù che apriva il suo cuore ai peccatori. Sei lo stesso Gesù che annunciava la Buona Novella della venuta di Dio per condividere in tutto, fuorché nel peccato, la nostra stessa vita, ed introdurci nella Casa del  Padre tuo. Sei il medesimo Gesù che ha guarito i malati, risanato i lebbrosi, donato la vista ai ciechi, la parola ai muti, il perdono ai peccatori, l’Amore alle anime solitarie, la tenerezza ai tuoi discepoli, la promessa del Regno al popolo di Israele.

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Sei qui, Signore; ed io so che tu mi conosci e mi ascolti, e mi ami di amore infinito, come solo un Dio può amare. E mi ami nonostante le mie manchevolezze. Mi ami malgrado le mie infedeltà. Mi ami senza curarti delle mie passioni. Mi ami benché sappia quanto è volubile il mio cuore, quanto inaffidabile la mia anima, quanto instabile il mio sentimento verso di te, quanto tiepido è il mio amore. Mi ami pur sapendo quanta poca fede alberga nel mio cuore. Mi ami pur conoscendo che sono manchevole di tutto. Mi ami, Signore, perché mi ami. Tutto è gratuito in Te. Niente è dovuto. Mi ami perché è nel tuo stesso Essere l’esigenza di amare. Mi ami perché, al di sopra di tutto, la mia stessa esistenza è un Tuo Atto d’Amore. Mi ami perché Tu sei l’Amore, o Signore.
Sono qui, Signore, alla tua Presenza. Sono qui per benedirti, per lodarti, per cantarti il mio Amore, il mio sentimento, la mia lode, tutto il mio bene. Ma sono qui anche per affidarti tutto me stesso. Sono qui alla tua Presenza, come fossi in terra di Palestina. Sono qui a chiederti, come ti chiederei a Gerico: “Signore, che io veda!”. Sono qui ad implorarti, come ti implorerei a Cafarnao: “Signore, che io cammini!”. Sono qui a pregarti, come ti pregherei vicino al Giordano: “Signore, permettimi di seguirti”. Sono qui ad invocarti, come ti invocherei nella casa di Simone il fariseo, piangendo i miei tanti peccati ai tuoi piedi: “Signore, perdonami”. Sono qui, Signore, alla tua presenza, a chiamarti come ti avrei chiamato a Cana: “Signore, partecipa alla mia gioia”. Sono qui alla tua presenza per domandarti, come ti avrei domandato nella sinagoga di Cafarnao: “Signore, dammi, dammi da mangiare il tuo pane; dammi da bere il tuo sangue, perché io possa divenire tuo consanguineo nell’Amore”. Sono qui, Signore, a desiderare, con lo stesso sentimento che nutrirei nel Tuo Paese: “Signore, mondami dalla lebbra del peccato!”. Sono qui, Signore, ai tuoi piedi a domandarti, come avrei fatto personalmente: “Signore, aumenta la mia fede”. Sono qui, Signore, perché Tu lo vuoi. Io so che tu non ti stancheresti mai della mia presenza. Tu mi terresti sempre con Te, avvolto nell’abbraccio tenerissimo del Tuo Amore, docilmente, ai tuoi piedi, come Maria di Betania.
Sono qui, Signore, a respirare la tua Presenza. Una Presenza di Vita, di pace, di Amore, di perdono. Una Presenza Divina, la tua: Si, Signore, sono qui. Tacciano le mie labbra e parli il mio cuore! Anzi no! Sii tu a parlare al mio cuore, ai miei sentimenti, alla mia anima”.
La Festa del Corpus Domini che celebriamo questa domenica ci deve veramente spingere ad onorare Gesù presente nella santissima Eucaristia. Una presenza tante volte ignorata, trascurata, se non disprezzata nei tabernacoli. 
Egli è lì per noi, per il nostro bene, per la nostra salvezza. Gesù è presente come uno sposo dell’anima nostra, come un Padre, un fratello, un amico sincero. Come il Datore della Vita. Ed è davanti a lui, davanti al tabernacolo che noi possiamo aprire il nostro cuore ed abbandonarci all’olio profumato del suo amore.

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