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Il Vangelo di Domenica 17 gennaio. A cura di Donato Calabrese

16/1/2016

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II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Gv 2,1-12)

Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse:  «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».    La madre dice ai servi:  «Fate quello che vi dirà». Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare»; e le riempirono fino all'orlo.   Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola».  Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono;
tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni
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L’episodio delle nozze di Cana, che fa da sfondo al primo miracolo operato da Gesù nella sua vita pubblica, è presente solo nel vangelo di Giovanni, ed è localizzato in un piccolo villaggio della Galilea, attualmente chiamato Kefr Kenna o Kfar Kana, ubicato a circa 8 chilometri da Nazareth. È la patria di Bartolomeo Natanaele, l’apostolo patrono di Benevento.
Se facciamo attenzione al “ritornello” con il quale l’autore del vangelo cadenza i vari episodi di questa prima parte del vangelo, ci rendiamo conto che il miracolo di Cana è inquadrato, volutamente, in un “settimo giorno” a partire dalla prima testimonianza del Battista su Gesù al Giordano, alludendo, quindi, al compimento della creazione ed alla celebrazione della Pasqua. In tal modo, l’evangelista intende condurre la nostra riflessione sul significato cosmico e pasquale di questo grande Segno donato da Gesù a Cana di Galilea. Questo ci conduce a riflettere sul termine “Ora”, che Gesù utilizza in risposta a sua madre. Questa parola sarà spesso ripetuta nei momenti più rilevanti della vita del Maestro, ed indica nitidamente il l’“Ora” decisiva, il tempo pasquale, il momento culminante della sua missione.
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Il brano evangelico comincia con questa espressione pregnante: “Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù”. Il termine tre giorni è significativo; ma lo è ancora di più il la traduzione letterale del testo originale: il terzo giorno. Non ci vuole un grande sforzo per comprendere che l’espressione rimanda all’Evento della Resurrezione di Gesù. Quindi, non è difficile pensare al profondo significato Pasquale di questo miracolo che è al centro della nostra riflessione.
Maria, la Madre di Gesù è presente. Anche Gesù è invitato con i suoi amici. 
Il matrimonio ebraico che si svolge di solito nell'abitazione dello sposo, è l'occasione di un grande banchetto che normalmente dura qualche giorno, ma può arrivare anche  a due settimane.
Improvvisamente, viene a mancare il vino. È una situazione drammatica, questa. Manca il vino! Il banchetto non può più andare avanti. E’ una festa che rischia di finire male. E allora Maria, la madre di Gesù, che si è accorta, oppure è stata messa al corrente della situazione drammatica, si fa avanti verso il figlio e con la sua sensibilità tutta femminile,  gli dice: “Non hanno più vino”.
La risposta di Gesù è tale di stroncare qualsiasi speranza: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”.

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Maria, sua Madre, prima lo fissa, e poi, rivolta ai servitori, dice loro: “Fate quello che vi dirà”.
Gesù obbedisce alla Madre e, senza fare una piega, ordina ai servitori di riempire d'acqua le sei giare di pietra, contenenti, ognuna, dagli ottanta ai 120 litri. Le giare vengono riempite fino all'orlo. E Gesù dice loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portano. L'acqua è diventata vino e, per di più, di ottima qualità. 
Questo è il primo miracolo compiuto da Gesù nella Missione. Ma sono sicuro che a voi è rimasta impressa l’apparente divergenza di Gesù con sua madre. Secondo qualche studioso essa sarebbe frutto di un’errata traduzione dell’aramaico. Le parole di Gesù: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora»,  esprimerebbero un’errata traduzione del testo aramaico in quello greco. Le parole dette da Gesù sarebbero di ben diverso contenuto: «Non per me, bensì per te, donna, è giunta opportuna la mia ora”( José Miguel García, La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, I libri dello Spirito cristiano, Biblioteca universale Rizzoli, 2005, 150).
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Il testo evangelico offre una prima chiave di interpretazione facendoci comprendere che  il banchetto nuziale di Cana, con l’ottimo vino donato da Gesù, appare come la realizzazione dei “tempi messianici” annunciati dai profeti (Cfr. Is 25,6) con le immagini del banchetto imbandito in sovrabbondanza con i frutti della terra, e specialmente del vino. Con tale immagine profondamente biblica del banchetto, l’evangelista annuncia il tempo messianico, quello che segna la venuta dell’Inviato di Dio, il Messia, il Cristo di Israele. E quindi, è giunto il momento in cui il vecchio mondo religioso ebraico, con le sue infinite prescrizioni che hanno dilatato a dismisura l’osservanza della Torah, cioè la Legge di Israele, imprigionando in innumerevoli precetti, regole e prescrizioni, lo spirito dell'uomo che cerca Dio, ceda il posto al Nuovo che avanza, vale a dire, a Gesù, Messia di Israele, ed alla Sua nuova Legge liberante, che Egli dona a tutti, e che Lui stesso presenta come il “vino nuovo” che richiede, ovviamente, otri nuovi (Cfr. Mc 2,22; Mt 9,17; Lc 5,37-38). 
Ma com’è possibile che l’uomo, che è di dura cervice possa incarnare e vivere nel proprio cuore la mirabile Legge donata da Cristo Gesù?

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La risposta l’abbiamo nella successiva interpretazione del brano evangelico, che ci permette di riconoscere, nell’immagine del banchetto di nozze e del miracolo, una prefigurazione del banchetto eucaristico, cioè quello relativo al Pane ed al Vino che da quella Cena del Signore di duemila anni fa, si ripete ogni giorno nelle nostre chiese, con la celebrazione della Santa Messa, o meglio ancora, della Santa Cena col Signore Gesù, Figlio di Dio Altissimo.
A Cana l’acqua è cambiata in vino; nella Cena di addio e di comunione con i suoi discepoli, il vino è cambiato nel sangue di Cristo.  È questo Vino, ed è questo Corpo ad operare un nuovo miracolo di Cana in ogni uomo, mutando l’acqua della sua identità umana nel vino che esprime l’alleanza e la comunione con Dio stesso, per mezzo del Suo Figlio Diletto. Una vera, autentica, trasformazione ontologica, profonda, nell'uomo di tutti i tempi, specialmente in tutti coloro che accolgono la Sua Parola ed il Suo Pane, lasciandosi dilatare e fermentare dal Suo Spirito Consolatore, fino  alla completa realizzazione del Suo Regno.

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È questo “Vino nuovo” che instillerà la Vita di Cristo in ogni anima, permettendo allo Spirito Santo di ricrearla, di rigenerarla, di rinnovarla continuamente, non con l’antica Legge scritta su tavole di pietra, ma con quella  impressa a fuoco nei cuori dei credenti.
Il “Vino nuovo” di Gesù ci inebria, ci rallegra, ci dà la gioia della scoperta di questo grande amore sponsale nel quale Lui assume l’identità dello Sposo, mentre ognuno di noi vive l’amore della Sposa così bene espresso nel Cantico dei Cantici: “Il mio diletto è per me un grappolo di cipro nelle vigne di Engàddi”(Ct 1,14);  “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro”(Ct 2,13-14); “Il mio diletto è per me e io per lui”(Ct 2,16).

Qual è la risposta che l’anima deve dare a questo Dio umanato che, nel Segno del miracolo di Cana, assume Lui stesso l’immagine dello Sposo? È quella di ogni cristiano che accoglie la Vita di Dio in sé. Accoglierla non passivamente, ma riamando con tutto il cuore, con tutta la volontà, con tutta la propria mente questo Dio Buono e amorevolissimo che si rivela in Cristo Gesù.

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