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Il Vangelo di Domenica 16 agosto. A cura di Donato Calabrese

15/8/2015

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XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Gv 6,51-58)

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro:  «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
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Di fronte alla meraviglia ed allo scetticismo dei suoi ascoltatori, Gesù ribadisce la necessità assoluta di mangiare il suo corpo e bere il suo sangue, per avere la vita. Come quelli delle domeniche precedenti, anche i versetti che compongono questo brano evangelico contengono un insegnamento eucaristico, che fa riferimento all’ultima Cena di Gesù, allorché Lui donerà il Pane del Suo Corpo ed il Vino del Suo Sangue, che sarà versato sulla croce: la Nuova Alleansa tra Dio e l’uomo, tra Cristo ed il Suo Popolo. Un’alleanza ontologica che supererà immensamente e profondamente tutte le altre.
È, quindi, un testo eucaristico, quello che la liturgia propone alla nostra riflessione questa domenica. E se qualcuno ha messo in discussione la sua autenticità considerandolo come un’interpolazione redazionale nel vangelo di Giovanni, altri, come Joachim Jeremias per esempio, ne hanno ribadito l’origine. Infatti, il suo stile “è così prettamente giovanneo che non gliene si può negare la paternità”.  È, piuttosto, probabile che nella redazione di questo testo evangelico, Giovanni si sia servito di tradizionali espressioni eucaristiche, o forse, addirittura di un’omelia eucaristica.

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“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”, dice Gesù introducendo la pericope evangelica. In questa frase Gesù usa il termine sarx (carne), mentre nella Cena di addio utilizzerà la parola equivalente sôma, e che significa corpo. 
Il verbo al futuro “e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” indica l’Evento nel quale Gesù darà il suo Pane: la Cena di addio, quando Lui dirà “Questo è il mio corpo che è dato per voi…. Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. 
La carne ed il sangue sono due lemmi che l’evangelista utilizza anche nell’inno Cristologico contenuto nel prologo al Vangelo, quando presenta l’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, e non indicano due componenti  di Gesù, ma tutto il suo corpo offerto al Padre in sacrificio ed all’uomo in cibo: “colui che mangia di me vivrà per me”, come vedremo nel versetto 57 del testo evangelico. 
Gesù dice: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.  Dopo essersi identificato nel pane vivo, Gesù appare, nello stesso tempo, come il Donatore: “il pane che io darò”, e come il Dono: “La sua carne, il suo corpo, la sua dedizione, l’offerta al Padre per la vita del mondo”.

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Di fronte ai giudei, o galilei con simpatie giudaiche, che disputano tra loro, senza neanche rivolgersi direttamente a Lui, Gesù non sfuma il suo pensiero, ma lo rende ancora più esplicito, preciso e difficile da accettare. A loro che obiettano: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?», Egli risponde con un doppio Amen: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita».  
Nel pensiero ebraico il sangue è considerato sede della vita e come tale appartenente a Dio solo. Per questo la proposta di Gesù risulta paradossale e addirittura scandalosa per i suoi ascoltatori. 
Mangiare la carne o bere il sangue presuppone la morte di ciò che si mangia. Mangiare la carne di Cristo e berne il sangue fa presumere una cosa sola: la Sua morte in croce. E allora, con la sua catechesi eucaristica, fondata sul pensiero vero ed autentico di Gesù, Giovanni apre un solco, un tracciato, una profonda riflessione su Gesù e sull’Eucaristia, che è il Dono della Sua Presenza, lasciando intravedere la profonda relazione tra il Pane e la passione e morte di Gesù.  È questo, l’anello di congiunzione tra il Donatore (Gesù), ed il  Dono, cioè l’Eucaristia: il suo Corpo ed il suo Sangue.

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E allora si comprende come le parole carne e sangue acquistino una piena collocazione all’interno di quell’avvenimento doloroso non previsto dai suoi discepoli, ma profeticamente preannunciato, da Gesù già a Cesarea di Filippo. Con la sua totale Dedizione, oblazione, offerta pura e Santa, al Padre Celeste, in linea con le prefigurazioni profetiche delle vittime sacrificali dell’Antico Testamento, ma su un livello infinitamente più alto rispetto ad esse, Gesù dona il Suo Corpo ed il Suo Sangue Immacolato, con tutti gli effetti di salvezza annessi e connessi, per la vita dell’umanità caduta nel peccato, lacerata dal peccato, ma riscattata da Lui.
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». Questa mutua immanenza del discepolo con Cristo e viceversa, indica un’intimità, un’alleanza nuova che assume tutta la pregnanza di alleanza definitiva tra Dio e l’uomo, i cui effetti sono a portata di tutti coloro che vorranno mangiare il suo Corpo e bere il suo Sangue attraverso la partecipazione al Sacramento eucaristico. È così che con la comunicazione del suo Corpo, del Suo Sangue, Gesù trasmette la sua stessa Vita Divina, permettendoci, così, di vivere nel modo più alto, sublime e divino, l’amore trinitario.. 
Questo aspetto trinitario dell’eucaristia ci è presentato dallo stesso Gesù quando dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”.

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La Trinità è l’artefice dell’Eucaristia. Il Padre che ha tanto amato il mondo da dare il suo Unigenito per salvarlo. Il Figlio ha tanto amato gli uomini da dare per essi la sua vita. Padre e Figlio hanno voluto unire così intimamente a sé gli uomini da infondere in essi lo Spirito Santo, perché la loro stessa vita divina dimorasse nei loro cuori.
Gli ultimi versetti pongono nuovamente in parallelo l’episodio della manna nel deserto ed il pane disceso dal cielo: “Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.
È importante porre l’accento sulla verità intrinseca contenuta in queste parole di Giovanni. Come la manna ha permesso al popolo d’Israele di superare il deserto e arrivare così alla terra promessa, così chi si nutre dell’Eucaristia riuscirà, ad un livello ancora più alto, ad arrivare al punto terminale del nuovo Esodo del Popolo di Dio: la pienezza del Regno, il Paradiso. Infatti Gesù ha detto: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Quindi, l’Eucaristia è il Celeste Viatico per attraversare indenni il deserto della vita.
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Ma voglio concludere con un ultimo pensiero che credo sia molto importante, anche per interpretare fedelmente ciò che Gesù ha voluto dirci, specialmente con queste parole: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”. 
Questa mutua immanenza del discepolo con Cristo e viceversa, suggellata dalla Nuova Alleanza che Gesù offrirà nella Cena di addio, permette, ad ognuno di noi, di essere Tenda dell’incontro personale con Gesù, in modo che Gesù stesso venga ad abitare dentro di noi insieme al Padre. È lo stesso Dio, uno e trino, Padre, Figlio e Spirito Santo che si degna di abitare l'anima e vivificarla con il sommo alimento della comunione al Corpo e Sangue di Cristo, in modo che chi mangia di Cristo vive per Cristo, con Cristo, ed in  Cristo.

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Mangiare il “Pane disceso dal cielo” vuol dire entrare in comunione con Cristo, lasciando abitare in noi la Trinità Beata che opera in noi: ci ricrea, ci salva, ci trasforma, ci santifica, ci divinizza, ci ama. Questa è la permeazione: la Presenza di Dio in noi, non allo stesso modo della Presenza in Gesù, ma per dignità partecipata, la Presenza stessa, gioiosa, amorevole, di quel Dio che è gioia, pace ed amore, nei nostri cuori. Una presenza così intensa e forte che ci porta, per effetto, a sentirci completamente immersi nell’abbraccio del Padre e di un Dio che è Amore, e solo Amore. La prova mirabile di questa rivelazione è proprio quella che Gesù darà nell’ultima Cena, con la celebrazione della Nuova Alleanza, che sarà, poi, suggellata sulla Croce, dove Dio stesso, che ha tanto amato il mondo, “darà” il Suo Figlio Unigenito. Ecco perché una delle anime mistiche e dei Santi più grandi della Cristianità, Padre Pio da Pietrelcina, era convinto che: “la prova più sicura dell’amore consiste nel patire per l’amato. E poiché il Figlio di Dio ha sofferto per puro amore la sua inaudita Passione, la croce abbracciata per Lui diviene amabile quanto l’amore”.

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In forza di questo Sommo Dono, e del Pane di Vita collegato ad esso, ognuno di noi è chiamato a riamare, allo stesso modo, quel Dio che ci ha amato primo. Amare amabilmente e gioiosamente quel Dio che ci ama come una mamma, come un papà, come uno sposo o una sposa, un fratello, una sorella, un amico. Per dirla con parole povere: Quel Dio che ci vuole tanto, tanto bene. 
E quando avvertiamo l’affetto ed il calore di una persona che ci ama, cosa succede? Il nostro cuore sente tanto calore affettivo, vive la gioia, e riposa nella pace.  Quando sentiamo l’amore di Dio per noi, quello stesso Dio che ci ha rivelato il Suo volto divino in Gesù, noi vogliamo riamarlo con tutti noi stessi. E questo i mistici lo sanno e lo sperimentano in un crescendo di sensazioni emotive e di conoscenza dinamica e sempre più crescente dell’amore di Dio.
Per comprendere appieno e mirare questo nostro incontro amorevole con il Dio rivelato in Cristo Gesù, dobbiamo porci nell’atteggiamento della sposa del Cantico dei Cantici, allorché canta così la gioia del Suo Dio che vive con Lei ed in Lei: “Il mio diletto è per me e io per lui”.

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