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Il Vangelo di Domenica 13 agosto. A cura di Donato Calabrese

9/8/2017

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XIX^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Mt 14,22-33)

Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario.
Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «E' un fantasma»  e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Pietro gli disse:  «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 
Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».  
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!»
Nel brano evangelico di domenica scorsa abbiamo visto dispiegata, con un grande segno, la potenza divina di Gesù. Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci è certamente, uno dei più strepitosi operati da Gesù, e molti in Israele lo hanno interpretato come Segno indicativo dell’era messianica, cioè contraddistinta dalla Presenza del Messia, l’Atteso di Israele.
Nel brano odierno abbiamo un’altra manifestazione divina del Rabbi di Nazareth: Egli cammina sulle acque.  Un racconto presente anche in Marco ed in Giovanni. Ma, mentre questi risaltano la potenza dispiegata da Gesù, Matteo pone l’accento sul riconoscimento Messianico da parte dei suoi discepoli. Quindi, l’idea che Gesù fosse il Messia si va diffondendo enormemente nel popolo, mentre un clima di trepidante fervore ed entusiasmo circonda la persona di Gesù, riverberandosi sui suoi stessi discepoli.
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Giovanni evangelista lascia intendere che il popolo vuol prendere Gesù e farlo re (Cfr. Gv 6,15). I  discepoli si sono lasciati influenzare da questo clima di trepidante attesa attorno al loro Maestro, associandosi alla volontà popolare.
Ma Gesù la pensa diversamente. Ce lo fa capire implicitamente il brano evangelico: “Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla”. 
Gesù li obbliga a partire, perché i pensieri dei discepoli sono animati dall’ambizione, dal desiderio di raggiungere gli onori e la gloria, perché vagheggiano già da ora che il loro Maestro possa essere acclamato Re di Israele. Ed in effetti Egli è Re, come vedremo alla fine dell’anno liturgico. Egli annuncia il Regno di Dio, come leggiamo spesso dai suoi insegnamenti. Ma quello che sta predicando è un Regno molto diverso da quelli degli uomini.
Dopo aver congedato la folla, Gesù compie il gesto più insolito, proprio nel momento in cui l’entusiasmo popolare lo innalza al di sopra di tutti. Sale sul monte, da solo, per pregare. Venuta la sera, egli se ne sta ancora solo lassù.
Quale inaudito insegnamento viene per l’uomo di tutti i tempi. Specialmente per l’uomo autosufficiente di oggi. Gesù ha dispiegato tutta la sua potenza divina col miracolo della moltiplicazione dei pani, e invece di accarezzare sogni di potenza, congeda quella stessa folla che vuole farlo Re, e sale su un monte, per pregare. 
Il monte indica il luogo privilegiato dell’incontro con Dio. In quest’azione solitaria di preghiera e contemplazione, Gesù manifesta non solo l’anelito profondo della sua anima: l’abbandono confidente e filiale tra le braccia del Padre, ma anche il gesto ontologico di ogni uomo che, nel silenzio e nella solitudine di un monte, a metà tra il cielo e la terra, intende ritrovare la propria identità di creatura che esprime la lode del Creatore e, nel contempo, eleva la creazione alla lode ed alla gratitudine verso Dio. L’uomo è fatto per mirare, per pregare, e per amare. Ecco la sua più intima essenza. È una creatura creata dall’amore e finalizzata all’amore.

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Sul monte Gesù evoca la figura di Mosè che è molto presente, almeno in filigrana, nel vangelo di Matteo. L’abbiamo detto in precedenza: Gesù è il nuovo Mosè. Anzi è superiore a Mosè. Perché mentre Mosè ha ottenuto da Dio il miracolo della manna, divenendo mediatore e quindi strumento di tale miracolo, Gesù in persona, senza chiedere al Padre, ha dato il pane in abbondanza, lasciando ben dodici ceste in più, quasi ad indicare il numero simbolico che comprende tutte le dodici tribù di Israele.
Ci sarebbe tanto da dire su questa scena di Gesù che sale sul monte per pregare. Egli aspira all’incontro solitario e profondo col Padre. Quell’incontro che le masse non possono favorire. Ma d’altro canto, ogni parola ed ogni gesto, anche implicito, di Gesù, è parenetico per la nostra vita cristiana, e soprattutto ci indica la Via Maestra per l’incontro con Dio. È  quella della preghiera, della lode e del ringraziamento. Non è certamente un caso che la sua preghiera solitaria si trovi in mezzo a due miracoli strepitosi e due segni della Sua Divinità: la moltiplicazione dei pani ed il camminare sulle acque.
La preghiera, quindi, è il mirabile insegnamento che ci giunge da Gesù per ritrovare il nostro contatto con Dio. Senza la preghiera i nostri ponti con Dio si spezzano, e noi restiamo soli con noi stessi, chiusi nella nostra pazza solitudine.
Gesù è sul monte a pregare: ecco il sublime insegnamento. Partiamo da questa realtà per ripensare la nostra fede nel Dio Biblico: il Dio che si è rivelato nella Storia antica e nella pienezza del tempo ha mandato il suo Figlio (Gal 4,4).

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Gesù è sul monte a pregare rivolgendosi al Padre Celeste col confidenziale titolo di Abbà (Cfr. Mc 14,36), come lascia percepire l’evangelista Marco, svelando, così, la relazione unica e singolare che lo lega al Padre. “La preghiera di Gesù – sostiene Bruno Maggioni - è il suo essere Figlio che affiora alla coscienza e si traduce in colloquio. Consapevole della sua filiazione divina, mistero unico, irripetibile, non condivisibile, Gesù si ritira a pregare nella solitudine, solo davanti al Padre. Questa preghiera nella solitudine esprime la sua comunione unica col Padre e la sua nostalgia del Padre” (Bruno Maggioni, Preghiera, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, 1988, 1222).
Mentre Gesù è raccolto in preghiera, la barca con i discepoli si dirige «verso Betsaida», come precisa il vangelo di Marco (Mc 6,45). Per Giovanni, invece, punta “verso l'altra riva in direzione di Cafarnao” (Gv 6,17). Betsaida e Cafarnao sono abbastanza vicine. La prima giace nel punto in cui il Giordano si versa nel lago, a N. E. di Cafarnao.
La barca dista già qualche miglio da terra ed è agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte Gesù viene verso di loro camminando sul mare. Nel buio pesto che avvolge la barca che fatica a solcare le acque, improvvisamente i discepoli vedono qualcosa: un’ombra che si avvicina o un raggio di luce? Si spaventano a morte: “E’ un fantasma”,  gridano impauriti. E invece è Lui, Gesù, che cammina sul mare. E subito giunge a loro la voce rassicurante del Maestro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”.

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“Sono io”. È il nome stesso di Dio rivelato a Mosè (Cfr. Es 3,14), e non solo (Cfr. Dt 32,39; Is 41,10.13; 48,12; 51,12). Gesù si manifesta in tutta la sua Divinità che appare palesemente nel suo camminare sulle acque. Come non pensare al bellissimo versetto del libro della Genesi: “le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1,2)? Come non ricordare le parole di Giobbe: “Egli da solo stende i cieli e cammina sulle onde del mare” (Gv 9,8).
Nella descrizione del presente episodio, non possiamo non considerare, con una certa attenzione, il linguaggio degli evangelisti, ed in modo particolare di Matteo.
“Non temete!”, dice Gesù agli apostoli impauriti. È lo stesso invito che rivolge a tutti noi. Non dobbiamo aver paura di nulla perché quel suo camminare sulle acque profonde del lago, indica un altro dominio: quello sugli abissi.  E Dio è padrone degli abissi.
Sì, le parole di Gesù sono una forte sollecitazione per tutti noi che ci troviamo perennemente in lotta nel mare della vita. E questo, ancora di più oggi, in cui il male sembra infierire sul mondo, per mezzo di Satana e dei suoi accoliti: i mezzi di comunicazione sociale, cioè televisioni, social media, giornali, riviste, film (Tutto viene da Hollywood, la centrale di Satana nel mondo).
“Non temete!”, dice Gesù. Una sollecitazione che è anche un duplice invito: alla fede e alla speranza. E Pietro raccoglie subito l’invito pressante del Maestro, e gli dice: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. E Gesù: “Vieni!”.

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Scendendo dalla barca, Pietro indugia ancora, mentre vede l’immagine rassicurante di Gesù che lo invita con le braccia distese. Ma per la violenza del vento, la paura si impossessa di lui e, cominciando ad affondare, grida rivolto a Gesù: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stende la mano, lo afferra e gli dice: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. 
È originale di Matteo quest’appendice narrativa di Pietro che cammina sulle acque. Si comprende che l’evangelista ha voluto conferire una spiccata impronta ecclesiologica al brano evangelico, anche se secondo qualcuno questo dettaglio può toccare aspetti “leggendari” (Cfr: Gerd Theissen-Annette Merz, Il Gesù storico, un manuale, Ed. Queriniana 1999, 49).
Non è difficile riconoscere, dietro il bellissimo dialogo tra Gesù e Pietro sulle acque profonde del lago, un altro dialogo, continuo ed incessante, tra Gesù e ogni credente. Appartiene a Lui la prerogativa di essere vicino al suo “popolo”, specialmente nell’ora della prova e della tribolazione. Appartiene ai discepoli di tutti i tempi il potere di invocare il Signore della vita di fronte ai marosi che tormentano la vita della Chiesa e del mondo. Ed in quel suo provvidenziale intervento, volto a recuperare Pietro che sta affondando, non è difficile, né impossibile riconoscere la Divina Presenza che ha sempre aleggiato sulla sua Chiesa, rendendo impossibile la sua fine.
In fondo, la stessa risurrezione di Gesù, evento storico fondante del Cristianesimo, può essere interpretata e riletta alla luce di questo brano evangelico.

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Di fronte alla morte, ogni uomo avverte la sua incapacità di sopravvivere. La morte è il grande enigma della storia umana e sembra inghiottire, come le acque profonde del mare di Galilea, l’uomo di tutti i tempi che disperatamente cerca un senso per la sua esistenza.
Ma la risposta c’è, ed è Lui: Gesù di Nazareth. L’unico essere umano che ha vinto la morte. L’unico che è passato indenne attraverso il diaframma che separa la vita e l’abisso del niente.  Il Solo che può dare una risposta decisiva ad ogni perché dell’uomo. Ed a Lui si aggrappa disperatamente Pietro il pescatore, uno che doveva avere una certa confidenza con le acque del lago. Si aggrappa a Lui col grido “Signore, salvami!”. È il grido rivolto al Risorto, non più al Rabbi di Galilea.
Il gesto successivo di Gesù è la risposta a Pietro, ai suoi perché, ma anche ai nostri angoscianti interrogativi. Stendendo subito la mano, verso di lui, Gesù lo afferra e gli dice: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”.  
Sì, Signore. Anche noi dubitiamo. Tantissime volte. Siamo uomini di poca fede. Ma tu afferraci con quella Tua mano Divina! Afferraci e non lasciarci più! Con Te noi non saremo inghiottiti dagli abissi della morte. Con Te, Signore, noi riusciremo ad indirizzare le nostre barche personali e la stessa barca della Chiesa, che guida e illumina con la Tua Luce Divina la Storia umana,  verso i lidi sicuri dove ci attende il Padre Tuo.
Afferraci, Signore! Tu hai detto “Sono io”, facendoti così riconoscere dai tuoi amici. In queste tue parole noi riconosciamo che sei il nostro Dio. Perché Dio solo è e sussiste. Tu sei Dio, Gesù. Lo stesso Dio che si è rivelato a Mosè con le parole “Io sono”.
Afferraci, Signore! E non lasciarci più!

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