SANTISSIMA TRINITA' |

Le parole di Gesù fanno parte di un suo dialogo notturno con Rabbi Nicodemo, avvenuto certamente nel luogo dove Gesù sta riposando con i suoi amici, lungo il declivio del monte degli ulivi, o più probabilmente più giù, nel Getsemani.
Nicodemo è un fariseo e capo dei giudei. Di notte si reca da Gesù. Tra Lui ed il Nazareno si sviluppa un lungo dialogo, fatto di domande, da parte sua, e di risposte, da parte di Gesù. Ed è proprio durante questa conversazione notturna che Gesù pronuncia le parole che abbiamo ascoltato e che fanno parte del Vangelo di questa solenne domenica in cui celebriamo la Trinità.
Non possiamo comprendere la storia umana e quella cristiana senza partire da un Progetto originario di Bene. Anche se tante volte, di fronte al male che imperversa e che imbestialisce l’uomo fino a renderlo schiavo di sé stesso e degli altri, ci domandiamo che senso possa avere la nostra esistenza. Eppure, come scrive Wilfrid Stinissen: “Dio ha dato all’uomo la prova del suo amore in maniera così decisiva che niente regge al confronto. Ce ne ha dato la prova offrendoci tutto quello che aveva più a cuore. Facendo passare ripetutamente il suo sguardo amoroso dal Figlio adorato al mondo, ha scelto il mondo, non perché fosse più importante ma in maggiore pericolo. Dio si relaziona al mondo salvandolo, soccorrendolo, liberandolo. Dove c’è bisogno di salvezza c’è sempre la presenza divina. Se siamo in grado di apprezzarlo, il fatto che ci abbia dato quello che aveva di più prezioso risponde in modo inequivocabile a tutte le domande sull’ingiustizia e il dolore del mondo” (Wilfrid Stinissen, L’inizio è nel silenzio, meditazioni per un anno, Città Nuova Editrice, 2007,332).
E allora, non possiamo non riflettere profondamente sulle Parole di Vita che attraverso le Scritture, e particolarmente dai Vangeli, ci invitano ad aprirci alla speranza.
Cosa può significare questa speranza che proviene dal messaggio della salvezza racchiuso nella Parola di Dio? E, soprattutto, dove può portarci la ricezione di questa Parola di Vita?
La risposta la possiamo trovare nelle parole che abbiamo ascoltato poco prima, e che sono, certamente, espressione dell’esperienza di vita comune, che l’evangelista Giovanni ha avuto, insieme agli altri discepoli, con Gesù di Nazareth, oltre che della lunga riflessione dell’evangelista, nei decenni precedenti alla redazione del suo vangelo.

“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio”.
Tutto nasce dall’amore di Dio, infinitamente superiore all’amore umano. È l’amore che si effonde interamente nell’amato, anche quando l’amato non corrisponde a tale amore. La storia della Bibbia è piena di queste infedeltà, ed anche la storia cristiana, purtroppo.
Non possiamo cogliere il senso e la portata di questo amore di Dio per noi senza guardare il mirabile Dono che abbiamo davanti agli occhi della nostra fede: Gesù di Nazareth, il Cristo, l’Unigenito Figlio di Dio.
È Lui il Segno dell’Amore di Dio per noi. È Lui che Dio ha dato come segno della Sua Presenza e del Suo amore. Gesù, Figlio di Dio, quindi, ci fa conoscere l’Amore del Padre. Gesù è il Figlio Unigenito del Padre. La parola Unigenito rimanda al Prologo, cioè il solenne inizio del Vangelo di Giovanni, dove il Logos, Colui che noi conosciamo come il Verbo di Dio, la seconda Persona della Trinità Divina, è definito «l’Unigenito Dio».
“Il «dare» del Padre si compie nell’amore del Figlio «sino alla fine» (Gv 13,1), ossia fino alla croce” (Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Ed. Rizzoli, 2007, 393s.) che è adombrata in quel dare del Padre, come Segno del Suo Amore per noi, ma è indicata chiaramente nei versetti precedenti, ai quali è unita la frase, tramite la parola «infatti». Questa congiunzione specifica, conferma o giustifica quanto detto nella frase precedente.
E qual è la frase precedente? Eccola: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15).
Quell’innalzamento del Figlio dell’uomo allude a quella che sarà la Sua crocifissione, non come atto finale di un fallimento, secondo la stolta sapienza umana, ma momento decisivo della Spogliazione del Cristo, che avviene con la crocifissione, che dà inizio al Suo innalzamento nella Gloria del Padre. La crocifissione, quindi, è la misura palpabile, almeno per i nostri occhi, di tale spogliazione. Ma esprime soprattutto l’Amore di Dio per l’umanità. Come non capire questo mirabile messaggio d’amore?!

L’innalzamento di Gesù, cioè la sua crocifissione, dà a tutti gli uomini, morsi dal male ed avvelenati dal peccato, la possibilità di guardare a Lui nella speranza sicura di essere salvati.
Per i mistici, la speranza è già certezza. E allora essi vedono, in questo dare del Padre, l’espressione più alta dell’Amore di Dio. E il tema dell’Amore di Dio per il mondo, espresso mirabilmente in questi pochi versetti, è proprio una caratteristica del quarto vangelo, e, quindi, appartiene a lui (Cfr. Klaus Wengst, Il Vangelo di Giovanni, Ed. Queriniana, 2005, 147), cioè all’evangelista Giovanni.
Nel dare il Figlio Unigenito nel mondo non è adombrata solo la passione, ma anche la Missione di Gesù, come leggiamo nei versetti successivi: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio”.
L’invio del Figlio nella storia umana ci dice che Dio mira con questa missione alla salvezza del mondo. Ciò che era già stato espresso in precedenza con l’affermazione dell’amore di Dio per il mondo, viene ancora una volta confermato con l’invio dell’Unigenito Figlio di Dio nella nostra Storia.
Nell’azione comune del Padre e del Figlio noi cogliamo il supremo Disegno d’Amore della Trinità per il genere umano.
E allora, ripensando alle pagine immortali della rivelazione cristiana, tutta racchiusa in sintesi nei pochi versetti che costituiscono il Vangelo di questa Domenica della Trinità, noi riconosciamo la magnificenza e l’altissima paternità, la mirabile fraternità, l’inaudita comunione, la meravigliosa amicizia, di un Dio che non è lontano da ciascuno di noi, visto che In lui «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28), ma che ci ama di un amore sconfinato, la cui dimensione possiamo leggerla nel dare il Figlio Unigenito, per noi e per la nostra salvezza.
Il Dio della rivelazione cristiana è un mistero di amore interpersonale. È un Dio che vive e si comunica nell'amore. Lo possiamo comprendere anche attraverso la seconda lettera che san Paolo scrive ai cristiani di Corinto: “Per il resto, fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.
La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,11-13).
Queste ultime parole non solo venivano dette nelle antiche celebrazioni liturgiche ma forse accompagnavano il saluto che i cristiani fraternamente si davano a vicenda. Era come un abbandonarsi docilmente al Dio dell'Amore e della pace.
Di fronte al rapporto ineffabile tra il Padre ed il Figlio nello Spirito, noi cristiani non possiamo restare impassibili, insensibili, assenti. Perché tutto avviene, tutto si attua per la nostra salvezza che rientra nel Progetto originario di Dio. Egli vuole renderci felici, vuole introdurci nella Sua Divina intimità. Spetta a noi sapere e volere corrispondere a questo grandissimo e gratuito invito, nel quale affondano le stesse radici del nostro essere: partecipare per sempre alla beatitudine dell’amore Trinitario.
È la massima vocazione alla quale Dio ci chiama, per mezzo del suo Figlio Unigenito, nello Spirito santo del suo amore.