VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO |
Dall’inizio della sua vita pubblica Gesù accompagna il suo annuncio del regno di Dio con numerosi «miracoli, prodigi e segni» (At 2,22). Per mezzo di essi Gesù avanza la pretesa messianica con un linguaggio simbolico e reale per l’ebreo credente del suo tempo, come si è visto chiaramente nella sua risposta al Battista: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato colui che non trova in me motivo di scandalo» (Mt 1,4-6). Questi gesti di salvezza attestano che Gesù è il Messia annunciato dai profeti dell’Antica Alleanza (Cfr. Is 26,19; 29,18; 35,5-6; 61,1).
Le azioni di Gesù lo legittimano innanzitutto come l’Unto atteso, ma provano al tempo stesso la sua divinità. Infatti il compimento delle profezie dell’antico testamento da parte di Gesù Cristo supera le aspettative, dal momento che compie azioni che nelle antiche Scritture Sacre sono riservate al Signore” (Cfr. Christoph Schönborn, Dio inviò Suo Figlio, Cristologia, con la collaborazione di Michael Konrad, Hubert Philipp Weber, sezione quarta, Gesù Cristo, Manuali di Teologia Cattolica, Volume 7, Editoriale Jaca Book, Milano, 2002, 185[1] Cfr. La Civiltà Cattolica, I miracoli di Gesù, Storicità significato, Editoriale, anno 144 - volume IV - quaderno 3443, 4 dicembre 1993, 534). L’episodio evangelico di questa domenica dimostra proprio questo. Gesù compie i miracoli con estrema semplicità: non recita formule magiche, non compie riti particolari. Basta una sua parola, detta con autorità, e il miracolo si compie (Cfr. La Civiltà Cattolica, I miracoli di Gesù, Storicità significato, Editoriale, anno 144 - volume IV - quaderno 3443, 4 dicembre 1993, 534).

“Se vuoi, puoi guarirmi!”, gli dice il lebbroso. Lui ha saputo che Gesù ha guarito tanti malati e liberato vari indemoniati. Ecco perché dice: “Se vuoi”.
A questa frase Gesù risponde con l’imperativo che è quasi sempre presente quando lui sta per agire. Usando l’imperativo, Gesù dimostra di essere cosciente di avere l’autorità per fare certe cose che superano la legge naturale. Cioè Lui guarisce direttamente: non come avviene in episodi analoghi dell’Antico Testamento (Nm 12,4-16, 2Re 5,8-14). Interviene con un’autorità mai espressa finora, nella storia Biblica. Addirittura usa due imperativi: “Lo voglio, guarisci!”.
La compassione è il sentimento che appare spesso nella reazione di Gesù di fronte all’uomo che soffre, ed è indicato dal verbo greco splagchnistheis (splagcnisqeˆj, σπλαγχνίζομαι. (al presente) che può significare “avere pietà, commuoversi”. Ma se vogliamo essere più vicini al pensiero originale di Gesù, dobbiamo intendere il suo sentimento con queste parole: “Sono commosso nelle viscere”. Nel mondo ebraico antico e contemporaneo a Gesù, si pensa, infatti, che l’amore e la pietà vengano dalle viscere. Bisogna dire, però, che “altri codici importanti parlano della “collera” di Gesù, usando il verbo orgizomai (adirarsi). Adirato è una parola che “Compare in uno dei manoscritti più antichi esistenti, il Codice D, di Bezae, del V secolo, nonché in alcuni antichi codici latini. In questo caso Gesù, sarebbe adirato perché il lebbroso, avvicinandolo, non rispetta la legge (Cfr. Lv 13,45-46)” (Il Nuovo Testamento, introduzione note di commento e indici di Giuliano Vigini, Paoline Editoriale Libri, Figlie di San Paolo, 2000, 148, n.1,41), come pensa Giuliano Vigini. Matteo e Luca, peraltro, hanno omesso la parola «sdegnato» nelle versioni che offrono su questo miracolo. Ma il teologo e biblista José Miguel García crede che la presenza di questa strana collera di Gesù sia comparsa nel testo greco a causa di un’erronea comprensione dell’originale aramaico. “Nell’originale semitico, il primo accenno alla collera di Gesù è dovuto al fatto che il traduttore non si è accorto della presenza di un significato privativo nel verbo aramaico che significa «spingere alla collera, provocare l’ira», e perciò lo ha tradotto come «mosso dalla collera», quando in realtà il testo dice l’esatto contrario: «mosso a compassione»” (José Miguel García, Il Protagonista della storia, nascita e natura del cristianesimo, Biblioteca universale Rizzoli, prima edizione ottobre 2008, 193).

Gesù non ama la pubblicità, e dopo averlo guarito, lo invita a non riferire a nessuno di questo miracolo, esortandolo solamente a presentarsi al sacerdote nel tempio per il riconoscimento dell'avvenuta guarigione e, quindi, il ritorno alla piena vita familiare e sociale, come prescritto dalla Legge Mosaica.
Ma l’uomo non può tacere. Il cuore gli esplode nel petto per la gioia immensa, e comincia, così, a parlare di Gesù e del grande miracolo da Lui compiuto, sanandolo dalla lebbra. Il fatto diventa così noto che Gesù non può più entrare pubblicamente in città, ma se ne sta fuori, in luoghi deserti, mentre accorrono a lui da ogni parte.
Ancora una vota Gesù si dimostra vincitore del male, della malattia e della stessa morte. Ma la pienezza di questa vittoria si manifesterà definitivamente nella sua Pasqua.
Cosa dicono le parole ed i gesti di Gesù all’uomo di oggi? Cosa comunicano al cristiano occidentale, visto che siamo in Italia e l’Italia è un Paese alla deriva di una crisi economica che mina ogni sicurezza, e ancora di più uno squilibrio di valori etici e morali che emerge particolarmente nella frattura tra le logiche di potere dei grandi gruppi finanziari e le problematiche ed i drammi che attanagliano il nostro popolo?
Cosa rimane delle Parole di Gesù, e specialmente di quelle dette al lebbroso, ma che sono dirette ad ogni uomo che accoglie il Suo impagabile Messaggio d’amore?
“Lo voglio, guarisci!”, dice Gesù ad ognuno di noi. Egli vuole guarirci innanzitutto dalla lebbra del peccato, e specialmente di quel male che, oggi, tendiamo a relativizzare, ed a non considerare in quanto tale. È quel peccato, o insieme di peccati, che si commettono avendo davanti agli occhi solo il nostro piacere o interesse personale, anche a scapito del bene degli altri.
I peccati non sono solo quelli che appaiono ormai cristallizzati nel nostro immaginario, anche se, occorre dirlo, alcuni di essi sono un’autentica autostrada con la quale lo spirito del male entra a sirene spiegate nel cuore dell’uomo, prendendovi possesso.
Ci sono altri tipi di peccati bene espressi dalla lebbra da cui è guarito l’uomo che ha incontrato il Cristo. Ne citiamo soli alcuni, tra quelli che lasciano indifferenti, se non proprio morte le nostre coscienze, ma di cui dobbiamo dare conto a Dio. Quali sono? L’aborto, l’eutanasia, la tortura, la carcerazione arbitraria, il razzismo, lo sfruttamento dei Paesi poveri, le condizioni indegne di vita e di lavoro, la violenza sui minori, il commercio pornografico – e qui noi italiani ci distinguiamo particolarmente. E poi, il traffico di droga, la corruzione politica e amministrativa, la speculazione finanziaria, la speculazione edilizia, l’inquinamento ambientale, la sessualità genitale prima del matrimonio o al di fuori di esso. Si, cari amici, questo è peccato. È un’offesa grave rivolta a quel Dio che ha creato “maschio e femmina”; a quel Dio che ha creato la famiglia umana. E poi ancora: i voti di scambio, assenteismo dal lavoro e, soprattutto, evasione fiscale. E mi fermo qui.
“Lo voglio, guarisci!”, dice Gesù al lebbroso. E noi, uomini di questa generazione, di fronte al male insanabile che c’è dentro di noi, non possiamo non rivolgere, ancora una volta, questa preghiera che solo Lui, il Signore della Vita, può esaudire: “Gesù, se vuoi, puoi guarirmi!”.