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Il Vangelo di Domenica 1 novembre. A cura di Donato Calabrese

30/10/2015

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TUTTI I SANTI
 (Matteo 5,1-12a)

“Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:  «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”.
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In questa Domenica che coincide con la Solennità di Tutti i Santi, il nostro pensiero va alla Gerusalemme Celeste, o meglio ancora, Alla Casa del Padre, secondo le parole di Gesù che identificano il Paradiso.
Questo è il giorno in cui le menti e i cuori sono rivolti verso l’alto, dove saremo anche noi, nella pace di Dio, nella Sua Gioia e, soprattutto, inabissati nel Suo Amore trinitario. Non c’è una religione che ci parla in un modo così bello coinvolgente della Città Celeste.
E allora è giusto e bello rivolgere la nostra attenzione e venerazione a tutti coloro che ci hanno preceduto nella vita terrena, e in modo particolare ai nostri cari che sono lassù. Tutti quelli che abitano la Città di Dio sono Santi, perché “sono passati attraverso la grande tribolazione della vita, e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello”(Cfr. Ap 7,14). Quindi, anche i nostri cari che sono nella Casa del Padre sono Santi, perché sono passati nel crogiuolo dell'esistenza umana che li ha purificati e lavati nel sangue di Cristo (1Pt 1,19).
È conosciutissimo, il testo evangelico inserito nella liturgia di questa Solennità. Sono le  Le beatitudini proclamate da Gesù all’inizio del sermone del monte, e introducono, come una sinfonia di speranza, tutto il discorso successivo di Gesù, e che, Giovanni Papini definisce, nella sua Storia di Cristo, “Il Diamante unico, rifulgente nel suo limpido splendore di pretta luce in mezzo alla colorata miseria degli smeraldi e degli zaffiri… il Canto dell’uomo nuovo”.

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Contrariamente a Luca che ambienta l’episodio delle beatitudini in un luogo pianeggiante, l’evangelista Matteo lo situa su un colle poco distante da Cafarnao e dalla riva occidentale del lago di Tiberiade. Un luogo dove è ancora possibile ascoltare, con gli occhi della fede, le parole eterne del Signore della Vita, la cui Parola rifulge ancora oggi in un mondo pregno di tenebre, di odio e di peccato.
Davanti alle folle che cominciano a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano, Gesù si prepara a dare il Suo mirabile insegnamento, stando seduto, e quindi visto, dall’evangelista, nell’atteggiamento di Rabbi, di Maestro, davanti ai suoi discepoli.
Ai piedi di Gesù ci sono le folle di Galilea. Quelle stesse folle composte da gente semplice, dai poveri, dai malati, i diseredati, tutti coloro che sono ai margini della società ebraica, e non solo. Sono gli ‘anijjim, cioè i  poveri, e gli ‘anawim, cioè i mansueti, i miti. I due termini ebraici dai suoni e dai significati abbastanza simili, sono tradotti in greco con due parole diverse: ptwcoˆ (ptôchoi) e prae‹j(praeis), ma, come scrive il Papa emerito Benedetto XVI, vengono in gran parte a coincidere. Infatti, la beatitudine dei mansueti evidenzia un aspetto essenziale di ciò che significa la povertà vissuta a partire da Dio e nella prospettiva di Dio.  Entrambi i termini indicano i poveri in spirito, i miti, i cosiddetti “poveri di Dio”, coloro, cioè, che hanno poco o niente su cui contare per il presente ed il futuro e si abbandonano a Dio, come gli agnelli seguono con fiducia il loro Pastore.

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Ma davanti a Gesù  ci siamo anche noi, uomini di tutti i tempi, in perenne ricerca della verità, della giustizia, della pace, della gioia e della luce, nelle tenebre fosche di questo mondo occidentale incancrenito nella dissoluzione morale.
Con le indimenticabili parole che introducono il Sermone della montagna, e che noi conosciamo come le beatitudini, Gesù parla direttamente al cuore degli uomini toccati dalle difficoltà e dalle pene di ogni giorno. Gesù vuole sostenere, consolare. “Veramente le le beatitudini ci fanno sentire meno soli, meno smarriti. Esse sono un grande messaggio di vita, anzi sono il senso stesso della vita, che è testimoniare con coraggio i valori umani, senza mai sottrarsi, sapendo bene che andremo incontro alla sofferenza, al pianto, alle umiliazioni, ma ne vale la pena. Gesù lo ha fatto. Con le beatitudini infatti Gesù rivela il suo vero volto, il volto umano di Dio, per cui si ha l’impressione che Gesù, oggi, in realtà parli di se stesso. Gesù queste beatitudini le ha incise nella sua stessa carne, anche se a volte ha tremato”. Così padre Galileo  Babbini (Galileo Babbini, L’acqua dalla roccia, Omelie per l’anno liturgico A 1992-1993, 1995-1996, 1998-1999, raccolte e curate da Marcello Poli,  Effatà Editrice, 2001,  260.).

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Chi sono coloro che Gesù chiama beati? Sono quelli che meno ti aspetti, per la mentalità fredda del mondo di oggi. I beati sono i poveri, gli ultimi, gli umili, i bisognosi, coloro che hanno fame di giustizia. Gesù li chiama “Beati!”, cioè “felici”. Che paradosso!
Perché con la Salvezza che è venuto ad annunciare,  Gesù riconosce un rapporto di particolare predilezione tra Dio e gli ascoltatori privilegiati delle Beatitudini, gli ascoltatori del Messaggio della montagna, tutti coloro, cioè, che mostrano limiti, difetti, insufficienze sociali, fisiche e morali.
I poveri, gli affamati, gli afflitti, coloro che soffrono, coloro che sono perseguitati, i bambini, sono dichiarati Beati da Gesù. 
“I poveri vengono consolati adesso, non perché la loro condizione sia già cambiata, ma perché possono essere certi che Dio non li ha dimenticati e che il loro posto nel Suo Regno è assicurato”, come commenta James D.G. Dunn (Cfr. James D.G. Dunn, Gli albori del cristianesimo,La memoria di Gesù, 2 La missione di Gesù, Ed. Paideia, 2006, 454.).
Si, cari amici, da questo discorso pronunciato da Gesù nel cuore della Galilea, sgorga una linfa vitale che attraversa i cuori incalliti della vecchia umanità  per trasformarli da “cuori di pietra” in “cuori di carne”, per portare un nuovo soffio, una nuova stagione che da duemila anni la sta rinnovando dal di dentro.

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È la primavera dei cuori. Quella che ha visto impegnate, nella trasformazione del mondo, anime che hanno vestito i panni laceri, eppur giovani e freschi, dell’umiltà, ma che da Dio sono state illuminate di luce superna. Creature come le altre, con gli stessi difetti e gli stessi limiti. Ma che si sono intimamente specchiate nella Parola di Cristo, nel messaggio sempreverde delle Beatitudini, e vi hanno trovato il ritratto vero, autentico, di Cristo Gesù.
Lui è e sarà sempre povero, obbediente, puro di cuore, sereno nelle offese, paziente nelle ingiustizie, portatore di misericordia, di pace, di mitezza. Sarà perseguitato perché giusto, vero, onesto, vivendo anche momenti di afflizione e di pianto che sono tipici di ogni uomo (Cfr. Galileo Babbini, L’acqua dalla roccia, Omelie per l’anno liturgico A 1992-1993, 1995-1996, 1998-1999, raccolte e curate da Marcello Poli,  Effatà Editrice, 2001,  260.).
Solo l’amore può dare la pace nel cuore all’anima che è segnata dalla povertà, dalla fragilità, dalla debolezza, dalla sofferenza. Solo l’amore può conferire un senso prezioso alla croce. Solo l’amore per Gesù, la partecipazione ai suoi patimenti e, soprattutto l’unione profonda con Lui, può ridare quella pace nel cuore che già ci fa sentire “Beati”, perché prediletti di Dio, destinatari prioritari del suo amore infinito, e predestinati alla salvezza.
Gesù si compiace comunicarsi alle anime semplici, alle anime che vivono in semplicità, ponendosi in ascolto dei suoi insegnamenti ed abbandonandosi con fiducia alla volontà di Dio.

Chi si lascia raggiungere dalle sublimi parole di Gesù, vive già ora la bellezza e la dolcezza delle beatitudini che indicano la Presenza del Regno: la Presenza di Dio nel nostro cuore.

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